"…propositi per l’anno nuovo? Io uno ce l’ho. Quest’anno con voi voglio essere …fastidiosa, come una zanzara, come un dito nell’orecchio, come l’inquilina del piano di sopra che cammina coi tacchi e non vi lascia dormire. Voglio rompervi le scatole e lasciarvi perplessi. Soffiarvi polvere negli occhi, crearvi confusione. Mettere sotto il sopra e sopra il sotto. Darvi pizzicotti e spintarelle. Insinuarvi il dubbio su ciò che credete ovvio. Suonarvi il campanello nel mezzo della notte. Amarvi più che mai."

mercoledì 28 aprile 2010

Senza età



A volte succede. Il velo cade, l’illusione si spezza…

Mia madre parla con le sue amiche:”Ma davvero tra poco avremo sessant’anni? Io mi sento come quando ne avevo venti…”. Non è così per tutti, in fondo? Certo, abbiamo un’età biologica, un’età mentale, ed anche un’età emotiva, legate ai tre corpi dei quali siamo costituiti (corpo fisico, corpo emozionale e corpo mentale) e spesso queste età ce le sentiamo effettivamente addosso. Non facciamo più le scale di corsa, non la pensiamo più come un tempo e anche il nostro modo di vivere l’affettività si è modificato.
Ma in quei momenti in cui non ci identifichiamo con la mente che pensa,…in cui non siamo presi dalle faccende quotidiane od occupati a formulare giudizi…quando siamo beatamente seduti al sole o stesi nel letto un istante prima di addormentarci…ci ricordiamo forse di quanti anni abbiamo? No. Perché sotto tutta la zavorra che ci portiamo dietro in quanto esseri incarnati, l’Io, il “chi siamo”, rimane lo stesso, immutabile, e noi, nel percepirlo - in quell’istante - siamo l’eternità che guarda in faccia se stessa.
Sarebbe bello riuscire a prolungare questa sensazione (la sensazione di “non avere età”) e viverla costantemente, anziché accantonarla etichettandola come illusione dovuta magari a una forma di nostalgia per la giovinezza. Sarebbe bello perché allora saremmo svegli. E liberi. Smetteremmo di credere reale quello che non lo è, e di confondere la sostanza con quello che è solo un contenitore.
L’età è uno dei contenitori in cui ci siamo volontariamente rinchiusi, e da cui ci facciamo limitare, lasciando che sia lei a decidere ciò che dobbiamo o non dobbiamo fare, o provare. Ancora una volta non osiamo credere a quello che intuiamo in quell’istante di verità; preferiamo i luoghi comuni, gli schemi mentali, i pregiudizi sociali. Quello a cui ci ha abituati la nostra condizione di schiavi. O di “nani psicologici”, come dice qualcuno.

Ma a volte succede. Lo schermo del Truman Show si rompe, qualcuno abbatte le barriere e ci “scandalizza”. Un vecchietto si lancia da un aereo con il paracadute, un bambino si laurea in ingegneria, una ragazzina fugge con un uomo adulto... anime che riescono a confutare l'ovvio, o a trovarsi e a comunicare superando il “rivestimento anagrafico” che le limita …beh, trovo che siano eventi di grande bellezza, flash che aprono uno spiraglio sulla nostra natura divina.

Il velo cade, l’illusione si spezza… e l’eternità guarda in faccia se stessa.

martedì 13 aprile 2010

IO NON MI LAMENTO

E’ il titolo di uno dei libri che ho segnalato nella lista qui a fianco. Ed è anche la sfida che ho intrapreso dopo averlo letto. 21 giorni filati senza lamentele. Ho cominciato il 6 marzo e ad oggi non sono riuscita ad andare oltre i 4 giorni consecutivi.
La proposta parte dall’autore, un reverendo americano, Will Bowen, che ad un certo punto nota qualcosa che abbiamo tutti quanti sempre sotto gli occhi: non solo l’essere umano ha una spiccata tendenza a lamentarsi, ma sulla lamentela basiamo la gran parte delle nostre interazioni con gli altri. Ci lamentiamo del tempo, del governo, della salute, dei famigliari, dei colleghi di lavoro…quasi fosse diventato il modo più normale di relazionarsi.
Ora, il motivo per cui dovremmo desiderare di liberarci dalla lamentela è innanzitutto il fatto che lamentandoci emettiamo vibrazioni basse (energia negativa) e ci concentriamo su qualcosa che non ci piace, regalando quindi ancora più forza all’oggetto della nostra lamentela. Sul sito creato da Bowen “AComplaintFreeWorld” si legge a mo’ di slogan: Your complaints may seem fully justified, but realize that whenever you complain, you are placing your order for more of the same. Non si tratta di stabilire se le nostre lamentele siano o meno giustificate…ma di renderci conto che, comunque, nel momento in cui ci lamentiamo di qualcosa stiamo compilando un modulo di richiesta per avere altri articoli dello stesso genere. In poche parole, se mi lamento della mia cattiva salute non faccio che attirarmi altri problemi di salute. Se continuo a lamentarmi di quanto sia insopportabile quel collega, certamente il mio rapporto con lui peggiorerà ancora. Se, invece, comincio a sostituire la lamentela con un commento costruttivo, sforzandomi di sottolineare sempre gli aspetti positivi di una situazione o di una persona oppure andando alla ricerca fattiva di una soluzione al mio problema, non solo vedrò cambiare le cose in meglio più rapidamente di quanto mi aspetti, ma contribuirò a migliorare il clima generale intorno a me, in quanto anche le vibrazioni di tipo superiore si propagano e contagiano l’ambiente circostante.
In secondo luogo, per chiunque stia facendo un percorso spirituale basato sulla consapevolezza che la realtà esterna non esiste di per sé – oggettivamente – ma solo come prodotto, per quanto inconscio, della propria soggettività, la lamentela è qualcosa di insensato, che contrasta in modo inconciliabile con il principio secondo cui ognuno è Re e creatore di ciò che percepisce come realtà. Infatti com’è possibile lamentarsi di qualcosa che noi stessi abbiamo voluto? La lamentela è segno che ancora ci sentiamo vittime di un mondo esterno che produce eventi indesiderati e a cui non possiamo opporci. Liberarcene costituisce un grande passo in avanti verso la conquista di una più ampia consapevolezza.
Ma torniamo alla sfida. Si tratta di osservarsi durante la giornata (è richiesta quindi già una discreta capacità di presenza) e di fare un certo gesto ogni volta che ci si sorprende a lamentarsi. Quello che Bowen propone è di cambiare polso ad un braccialetto (di plastica viola, che è possibile acquistare insieme al libro o ordinare sul sito), ma ognuno può inventarsi un suo gesto personale da ripetere (per esempio tenere un sasso in tasca e spostarlo da una tasca all’altra). Qualunque sia il gesto, esso rende consapevoli di quante volte, e per quali motivi, ci si lamenta. Il traguardo dei 21 giorni è fissato facendo riferimento alla capacità della mente di “sostituire” una vecchia abitudine con una nuova, cosa che avverrebbe, appunto, dopo aver applicato per 21 giorni consecutivi una nuova modalità di comportamento. Attenzione: il pensiero non conta! L’importante è non esternare, non esprimere, la lamentela. Ciò che la bocca si abitua a dire la mente si abitua a pensare. Riuscendo nell’impresa di non lamentarsi per tre settimane la nostra mente dovrebbe a quel punto avere interiorizzato il cambiamento e quindi non produrre più lamentele.
A questo punto (beato chi ci arriva) non siamo più esseri che si lamentano, non ci attiriamo più cose che non vogliamo, non contribuiamo a diffondere pensieri e parole negative, ma anzi interrompiamo il circolo vizioso…perché il fatto stesso di non dare corda a qualcuno che si sta lamentando scoraggia il “lamentante” ed impedisce quindi l’emissione di altra energia negativa. Riuscite a “vedere” l’effetto domino che questa pratica può innescare su larga scala? E’ soprattutto questo enorme potenziale intrinseco che mi ha affascinato di questa idea che è stata “lanciata” nel mondo. Sei milioni di persone attualmente hanno al polso il braccialetto. L’1% dell’umanità che non si lamenta (o che ci prova) è una potenza d’amore dagli effetti incalcolabili.

venerdì 2 aprile 2010

E se la morte...



E se la morte fosse semplicemente…il risveglio da una lunga e bella dormita, durante la quale abbiamo sognato tutta quella che ci appare adesso come la nostra reale esistenza…Ci farebbe ancora paura?
Io sogno tutte le notti, di solito in maniera molto articolata e intensa, e al risveglio mi sento per qualche tempo ancora impregnata delle vicende e delle emozioni vissute insieme ai “personaggi” della mia parentesi notturna. A volte il distacco è pure un po’ doloroso, ma poi pian piano rientro in quella che è la mia normalità, in quella che percepisco come realtà.
La definizione della vita come sogno non è niente di nuovo: lo dicevano i Maya, l’ha detto Schopenauer…anche se con implicazioni diverse a livello filosofico. Ma io credo – senza scomodare i filosofi – che la mia ipotesi iniziale non sia molto lontana dalla verità. A me, perlomeno, l’idea piace e risuona. In quanto esseri spirituali, infatti, non ci sarebbe nulla di strano se passassimo di tanto in tanto da una dimensione all’altra, così come facciamo dal sonno alla veglia. Ripropongo la questione…se così fosse, ci farebbe ancora paura la morte? O sarebbe solo una porta di passaggio verso una dimensione che al momento non ricordiamo – in quanto siamo nel mezzo del nostro sogno e lo crediamo ovviamente reale – ma che in effetti già conosciamo benissimo, in quanto ci siamo tornati ogni volta che ci siamo svegliati?
Pensate quanta ansia verrebbe tolta dalla vita di ognuno se ci insegnassero che le cose stanno così. Perché cos’è che sta alla base di ogni nostra sofferenza, se non la paura della morte? O perlomeno…il credere che abbiamo un’unica vita – questa – e che ci giochiamo tutto qui, in questi 60-70 anni o forse meno. Allora la dobbiamo difendere con le unghie e coi denti, ci scontriamo con gli altri, ci vogliamo affermare, avere successo. E malattie, insoddisfazioni, fallimenti, rimpianti e via dicendo, assumono proporzioni insostenibili.
Al contrario, sapere che stiamo sperimentando una delle tante varianti, uno dei tanti sogni, che la nostra anima si è “inventata” per proseguire il suo cammino evolutivo…non rende tutto più entusiasmante?
Uso la parola sogno solo per creare la metafora…è evidente che in questa visione non ha senso parlare di sogno o realtà perché ad un certo punto non è più possibile stabilire quale sia l’uno e quale l’altra…Diventano insomma la stessa cosa, nell' Infinita Unità.
Mi piace pensare che quando morirò, cioè quando passerò da quella porta che apre sull’altra dimensione, mi sveglierò con un bello sbadiglio, mi stiracchierò…penserò con un po’ di nostalgia e groppo in gola al sogno che mi sono lasciata alle spalle, pieno di tutti i meravigliosi personaggi che ho avuto vicino e che ho amato… e che poi pian piano mi ritroverò a mio agio in quella che – dopo una bella lavata al viso – riconoscerò come la mia casa. E la sera sarò pronta per un nuovo sogno.