"…propositi per l’anno nuovo? Io uno ce l’ho. Quest’anno con voi voglio essere …fastidiosa, come una zanzara, come un dito nell’orecchio, come l’inquilina del piano di sopra che cammina coi tacchi e non vi lascia dormire. Voglio rompervi le scatole e lasciarvi perplessi. Soffiarvi polvere negli occhi, crearvi confusione. Mettere sotto il sopra e sopra il sotto. Darvi pizzicotti e spintarelle. Insinuarvi il dubbio su ciò che credete ovvio. Suonarvi il campanello nel mezzo della notte. Amarvi più che mai."

martedì 28 febbraio 2012

DIVERSO E UGUALE

Sempre più spesso ho occasione di rendermi conto che il significato vero delle parole lo si trova grattando via quella patina di abitudine che ce le fa recepire in maniera un po’ scontata e scavando al loro interno fino a riportarne alla luce il cuore, l’etimo, cioè l’idea prima che le ha generate. Scardinando dunque l’apparente ovvietà dell’aggettivo DIVERSO, ci si accorge che esso è composto dalla particella “di” (da, indicante allontanamento) e “vertere” (volgere) e significa dunque “vòlto altrove, che va in direzione opposta”. E’ per questo che quando mi si parla di diritto alla diversità mi sorge subito la domanda: diverso da cosa? da chi? Perché il termine diversità è uno di quelli che trova il suo senso solo per opposizione, presuppone insomma una “norma” di riferimento, da cui poter “di-vergere”, allontanarsi. In ambito sociale il termine diversità si applica generalmente a delle minoranze (di opinione, di orientamento sessuale, religiose, etniche, linguistiche, ecc.) che sovente ne fanno una bandiera nella loro battaglia per l’autoaffermazione. “Lasciateci il diritto di essere diversi”. E certamente sul piano umano è comprensibile che certe categorie chiedano di non venire penalizzate se vogliono vivere secondo i propri principi, colpevoli solo di non corrispondere a quelli della maggioranza. Allo stesso modo un singolo individuo può desiderare di far valere il suo diritto ad essere diverso ed è interessante notare come in questi casi le istanze personali finiscano quasi sempre per appoggiarsi a quelle di altri individui che condividono la “medesima diversità”, facendo sì che il concetto stesso di diversità vada a scivolare curiosamente verso – se non addirittura dentro - quello di “uguaglianza”. Si cerca dunque l’uguale per poter avere più forza nell’essere diversi? E a questo punto comincia a sentirsi una certa puzza di non-sense, una sorta di intuizione che la liquidità dei termini possa corrispondere ad una liquidità della realtà, che forse vuole sfuggire alle nostre pretese di categorizzarla. Lasciando poi che tale intuizione ci accompagni ad un livello di comprensione più profondo, scopriamo che finché ci definiamo per opposizione restiamo incastrati nella sfera del Due, e non acquisiamo mai identità propria, poiché esistiamo solo se esiste l’altro-da-noi. Perpetriamo l’errore di vedere la realtà divisa, avallando l’illusione della mente che sempre procede per dicotomie. Manca quel passo ulteriore che ci porta a comprendere che ove un’entità non può esistere senza la sua antagonista (la luce senza il buio, il pieno senza il vuoto), esse non possono che costituire un’unità, quell’Uno che in ultima analisi comprende tutti gli opposti, tutti i pluralismi e tutte le diversità, perché mai si potrà divergere abbastanza da ciò che ti comprende e ti ingloba. Se vogliamo allora invitare le persone ad essere consapevoli del loro potere di scelta, e del loro diritto/dovere di esercitarlo per non accontentarsi di lasciarsi trascinare da ciò che sembra assodato e inevitabile, ben venga. Bisognerà però fare attenzione a non mitizzare la diversità, che di per se stessa non esiste e che troppo facilmente può scadere nell’anticonformismo o nell’opposizione a prescindere; bisognerà precisare che per poter davvero arrivare a fare una scelta, la strada non è tanto quella che si allontana (di-verge) dalla folla ma al contrario quella che si avvicina alla consapevolezza di sé e della propria unicità; bisognerà infine chiarire che questo potere deriva dall’unica diversità possibile, e cioè, paradossalmente, quella di saper essere UGUALI…a se stessi.

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