"…propositi per l’anno nuovo? Io uno ce l’ho. Quest’anno con voi voglio essere …fastidiosa, come una zanzara, come un dito nell’orecchio, come l’inquilina del piano di sopra che cammina coi tacchi e non vi lascia dormire. Voglio rompervi le scatole e lasciarvi perplessi. Soffiarvi polvere negli occhi, crearvi confusione. Mettere sotto il sopra e sopra il sotto. Darvi pizzicotti e spintarelle. Insinuarvi il dubbio su ciò che credete ovvio. Suonarvi il campanello nel mezzo della notte. Amarvi più che mai."

sabato 27 aprile 2013

QUESTIONE DI CELLULE

Uno Stato, una comunità, è un organismo le cui cellule sono rappresentate dai singoli individui. In un organismo sano tutte le cellule cooperano tra loro in modo da produrre la condizione di equilibrio ideale: ciascuna svolge il suo compito secondo la propria natura, in armonia con le altre e questo mantiene tutto il corpo in uno stato di benessere. Sappiamo bene, però, cosa accade se alcune cellule impazziscono. Cominciano a riprodursi disordinatamente e senza criterio, aggrediscono le proprie “sorelle”, prevaricano, contaminano e devastano, rendendo l’organismo malato e sofferente ed innescando in pratica un processo di autodistruzione. “Come in alto, così in basso” scrive Ermete Trismegisto nella Tavola Smeraldina. Il microcosmo rispecchia il macro. Come per il corpo fisico, così per il corpo sociale il nemico è interno. Le cause della nostra attuale sofferenza come Paese non vanno ricercate nelle circo-stanze (in ciò che ci circonda) ma nel nostro tessuto cellulare, perché se è vero che dall’esterno alcuni “batteri” possono attaccarci, è altrettanto noto che questi possono attivarsi solo su un terreno predisposto. “Il germe non è nulla, il terreno è tutto”, diceva Pasteur. Un organismo in perfetta salute vibra di un’energia troppo elevata per poter essere intaccato. Ma cosa fare quando la metastasi sembra ormai troppo estesa, quando i suoi “tentacoli” - è il caso di dirlo - sembrano essersi troppo ramificati per poterli estirpare? E soprattutto, estirpare – parola che viene sovente utilizzata e che ha in sé tanto di violento - è la soluzione? Io ho invece la sensazione che l’unica vera terapia consista nell’immettere in quell’organismo cellule nuove, cellule sane, cellule più forti e inattaccabili, in altre parole … cellule consapevoli. Dove consapevolezza non significa giudizio, ma autocoscienza. Capacità di osservare, di capire, di agire senza rabbia, di sentirsi parte dello stesso Tutto cui appartengono anche le cellule impazzite. Capacità di guardarle, senza rinnegarle. Le cellule consapevoli non sono aggressive, ma resistono all’aggressività come pietre inscalfibili. Sanno che scagliarsi contro le sorelle “impazzite” significa scagliarsi contro se stesse. La loro cosciente presenza, la loro incorruttibilità e il loro progressivo moltiplicarsi sono condizioni sufficienti affinché l’organismo pian piano si ripulisca e si rigeneri spontaneamente, perché avvenga, in definitiva, l’auto-guarigione. Immettere nel tessuto sociale quante più cellule consapevoli possibili, come in una graduale trasfusione di sangue: è questo l’obiettivo mio personale e quello verso il quale dovrà tendere chiunque desideri impegnarsi per la rinascita della propria nazione.

lunedì 21 maggio 2012

L'ANELLO CHE NON TIENE


Vedi, in questi silenzi in cui le cose s'abbandonano e sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto, talora ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura, ...il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità. (da “I Limoni” di E. Montale) Questi versi vibrano di una potenza enorme, ogni volta mi ipnotizzano e mi commuovono, trasmettendomi l’emozione di chi ha intuito il “varco” e si trova ad una frazione di attimo dall’oltrepassarlo. Il mio, in questa esistenza, è un lavoro che ha come obiettivo il Risveglio. Altrimenti chiamato, anche se non del tutto propriamente, Illuminazione. Che detto così sembra una meta forse troppo ambiziosa, ma che in realtà è alla portata di tutti. Essendo infatti l’Illuminazione uno stato di coscienza, essa non va cercata per forza sulle montagne del Tibet ma fa potenzialmente parte di noi, anzi occasionalmente ci capita già di riuscire a mettere il dito sulla torta per rubare un po’ di panna. Ogni volta che per un attimo ci eleviamo al di sopra della mente, disidentificandoci da essa, arriviamo alle soglie del nostro vero Essere, pura Coscienza e nient’altro. Minuscolo assaggio, perché poi si ricade rapidamente nei corpi, ma comunque esperienza di quello stato interiore che vorremmo conquistare. Ma che cos’è il Risveglio? E in cosa consiste, nel concreto, questo “lavoro” di cui parlo? Tentando di sintetizzare al massimo, risvegliarsi significa in un primo momento rendersi conto…di non essere svegli, cioè di vivere quotidianamente una vita che è una serie di pensieri e azioni che noi crediamo “voluti” ma che sono in realtà meccanici e condizionati; e in secondo luogo tentare di uscire da questa condizione attraverso gli strumenti a disposizione, che possono essere molteplici, nello specifico la Presenza, la Disidentificazione dai tre corpi (io NON sono né il mio corpo fisico, né le mie emozioni, né i miei pensieri), la Trasmutazione del piombo (emozioni basse) in oro (emozioni superiori) attraverso la permanenza consapevole sul dolore, la Non-lamentela, il Non-giudizio, l’applicazione della Legge dello Specchio, la Preghiera (intesa come gratitudine per ciò che è, nella certezza che coincide con il mio Bene) e poche altre cosette. Questi gli “attrezzi del mestiere” – per approfondire ognuno dei quali si dovrebbero scrivere parecchie righe; l’obiettivo, come dicevo, è il Risveglio, o Apertura del Cuore, cioè quello stato di coscienza per cui non solo un individuo SA mentalmente di ESSERE L’ANIMA - e non il corpo e non le emozioni e non la mente -ma SENTE tutto ciò come reale, e quindi non CREDE nell’anima, ma E’ l’anima. (Se a questo punto la domanda che vi sorge spontanea è che cosa ci si guadagna a fare “tutta questa fatica” la risposta è l’IMMORTALITA’, e scusate se è poco.) Dunque il mio scopo in questa vita è conquistare l’immortalità attraverso l’identificazione con l’anima. Ovviamente sul mio cantiere campeggia ancora bello grande il cartello WORK IN PROGRESS, e a volte mi capita di pensare a come si faccia a passare dall’altra parte e a cosa “si vede” una volta indossati gli occhi dell’anima. Perché certamente la realtà che vediamo oggi con gli occhi del corpo e della mente non esisterà più, verrà completamente scardinata e trasformata. Vedremo quello che al momento ci è oscurato dal velo di Maya. Sarà come guardare DENTRO le cose e le persone. E qualche giorno fa’ mentre la mia mente si intratteneva – come ama fare - su questi argomenti, dal nulla (cioè da un piano sovrarazionale) mi è arrivata questa bella intuizione sotto forma di metafora. Avete presenti le immagini del tipo Magic Eye? Sono in apparenza accozzaglie di forme e colori senza senso (simili a quello che possiamo vedere in un televisore quando non prende il canale). Ma in realtà nascondono al loro interno delle figure in 3D. Da piccola avevo un libro di queste immagini e all’inizio impazzivo perché non riuscivo a capire come si facesse a vedere la figura nascosta dentro! Il problema – ho scoperto poi provando e riprovando – era che io pretendevo di vedere sforzandomi, quindi utilizzando un’energia maschile, di penetrazione, mentre il metodo più efficace era usare l’energia femminile, quella di accoglienza, e quindi abbandonarsi, lasciare che gli occhi si incrociassero, che la vista si appannasse e restare lì ferma senza pensieri e nella fiducia che qualcosa si sarebbe manifestato al di là del mio volere. Ed ecco che il miracolo improvvisamente accadeva, venivo risucchiata dentro l’immagine e quello che vedevo era completamente diverso e immensamente bello: delfini, guerrieri, aquile, a tutto tondo, in uno spazio nuovo. Il Risveglio è qui, adesso, a portata di mano, non ci resta che trovare L’anello che non tiene… Il tallone d’Achille… La mossa falsa dell’assassino… Il varco nel Truman Show… La minuscola imperfezione nella perfezione dell’inganno.

p.s. tornate all'immagine all'inizio del post...e provate. VEDETE?
se poi siete interessati a vedere altre immagini vi segnalo www.magiceye.com

martedì 28 febbraio 2012

DIVERSO E UGUALE

Sempre più spesso ho occasione di rendermi conto che il significato vero delle parole lo si trova grattando via quella patina di abitudine che ce le fa recepire in maniera un po’ scontata e scavando al loro interno fino a riportarne alla luce il cuore, l’etimo, cioè l’idea prima che le ha generate. Scardinando dunque l’apparente ovvietà dell’aggettivo DIVERSO, ci si accorge che esso è composto dalla particella “di” (da, indicante allontanamento) e “vertere” (volgere) e significa dunque “vòlto altrove, che va in direzione opposta”. E’ per questo che quando mi si parla di diritto alla diversità mi sorge subito la domanda: diverso da cosa? da chi? Perché il termine diversità è uno di quelli che trova il suo senso solo per opposizione, presuppone insomma una “norma” di riferimento, da cui poter “di-vergere”, allontanarsi. In ambito sociale il termine diversità si applica generalmente a delle minoranze (di opinione, di orientamento sessuale, religiose, etniche, linguistiche, ecc.) che sovente ne fanno una bandiera nella loro battaglia per l’autoaffermazione. “Lasciateci il diritto di essere diversi”. E certamente sul piano umano è comprensibile che certe categorie chiedano di non venire penalizzate se vogliono vivere secondo i propri principi, colpevoli solo di non corrispondere a quelli della maggioranza. Allo stesso modo un singolo individuo può desiderare di far valere il suo diritto ad essere diverso ed è interessante notare come in questi casi le istanze personali finiscano quasi sempre per appoggiarsi a quelle di altri individui che condividono la “medesima diversità”, facendo sì che il concetto stesso di diversità vada a scivolare curiosamente verso – se non addirittura dentro - quello di “uguaglianza”. Si cerca dunque l’uguale per poter avere più forza nell’essere diversi? E a questo punto comincia a sentirsi una certa puzza di non-sense, una sorta di intuizione che la liquidità dei termini possa corrispondere ad una liquidità della realtà, che forse vuole sfuggire alle nostre pretese di categorizzarla. Lasciando poi che tale intuizione ci accompagni ad un livello di comprensione più profondo, scopriamo che finché ci definiamo per opposizione restiamo incastrati nella sfera del Due, e non acquisiamo mai identità propria, poiché esistiamo solo se esiste l’altro-da-noi. Perpetriamo l’errore di vedere la realtà divisa, avallando l’illusione della mente che sempre procede per dicotomie. Manca quel passo ulteriore che ci porta a comprendere che ove un’entità non può esistere senza la sua antagonista (la luce senza il buio, il pieno senza il vuoto), esse non possono che costituire un’unità, quell’Uno che in ultima analisi comprende tutti gli opposti, tutti i pluralismi e tutte le diversità, perché mai si potrà divergere abbastanza da ciò che ti comprende e ti ingloba. Se vogliamo allora invitare le persone ad essere consapevoli del loro potere di scelta, e del loro diritto/dovere di esercitarlo per non accontentarsi di lasciarsi trascinare da ciò che sembra assodato e inevitabile, ben venga. Bisognerà però fare attenzione a non mitizzare la diversità, che di per se stessa non esiste e che troppo facilmente può scadere nell’anticonformismo o nell’opposizione a prescindere; bisognerà precisare che per poter davvero arrivare a fare una scelta, la strada non è tanto quella che si allontana (di-verge) dalla folla ma al contrario quella che si avvicina alla consapevolezza di sé e della propria unicità; bisognerà infine chiarire che questo potere deriva dall’unica diversità possibile, e cioè, paradossalmente, quella di saper essere UGUALI…a se stessi.

venerdì 23 dicembre 2011

BUONGIORNO!

Buongiorno!!! Come va oggi? Vi siete svegliati VIVI? Non è una domanda retorica, e la risposta non è banale come potrebbe sembrare. Per definirsi vivi infatti non è sufficiente aver messo i piedi giù dal letto, aver preso un caffè ed essere pronti a cominciare un’altra giornata. Per poter fregiarsi di questo aggettivo un essere umano al risveglio dovrebbe perlomeno sentire qualcosina che gli brucia dentro al petto …ardore, rabbia, emozione, creatività, entusiasmo, amore…la vita appunto. Dunque siete VIVI? O non state invece per caso perdendo le vostre giornate nella fretta (delle cose da fare), nella lamentela (delle cose che non vanno), nello sconforto (di chi si sente impotente), nell’odio (di chi si sente vittima), nell’indifferenza (di chi se ne frega), nella rassegnazione (di chi ha perso la speranza)…? Lo so, di questi tempi ce ne sarebbero di motivi per auto-giustificarsi qualora ci si riconoscesse in questo secondo ritratto. La realtà esterna pare strangolarci e ci causa un altissimo grado di frustrazione. Ci sentiamo impotenti davanti a ciò che accade nonostante noi, spalanchiamo gli occhi increduli di fronte alle scelte che vengono attuate da pochi e che spesso paiono fuori da ogni logica, quando non addirittura sfacciatamente faziose. Proviamo ad esprimerci e restiamo inascoltati; proponiamo e rimbalziamo contro muri di gomma; protestiamo e veniamo etichettati come ingrati, qualunquisti o sovversivi. In un tale contesto, inneggiare al cambiamento – sia da parte dei politici che dei cittadini - può essere molto, troppo facile, ed altrettanto vago. In primis perché cambiare non significa necessariamente migliorare, e poi perché il cambiamento accade comunque, indipendentemente da chicchessia, ed auto-proclamarsi suoi sacerdoti potrebbe suonare piuttosto pretenzioso. Anche quando tutto ci sembra immobile, infatti, c’è in realtà tanto che si muove e che produce sottili differenze, benché noi non siamo abbastanza sensibili da percepirle. Ecco perché l’invito deve essere al cambia-mente, piuttosto che al cambiamento. Se è una ripartenza che cerchiamo, mettiamoci in testa che questa può avvenire solo come conseguenza di una rivoluzione dei nostri paradigmi, in particolare con il ripristino della centralità dell’uomo, come essere spirituale ancor prima che materiale. Purtroppo chi sta cercando, anche in buona fede, anche con impegno, di “tirarci fuori dalla crisi”, commette l’errore di continuare a farlo ragionando sui vecchi modelli e alla vecchia maniera. Anche i giovani. Così ci si arrovella su come rimettere in sesto gli equilibri che sono saltati, senza capire che, quando il calzino è logoro, i rattoppi non possono più riportarlo ad essere quello che era, ma al limite rimandare di qualche tempo il momento in cui il piede rimarrà irrimediabilmente scoperto. E qualche dito di fuori mi pare che ce l’abbiamo già. Quello che si dovrebbe comprendere è che il Paese NON ha un problema; il Paese è semplicemente inserito nel processo fisiologico di autodistruzione che sta coinvolgendo il sistema economico a livello globale. Il countdown si è innescato nel momento stesso in cui il denaro, nato come “mezzo” (cioè strumento di mediazione tra gli uomini per soddisfare le proprie necessità) è diventato “fine”, producendo una distorsione drammatica che è ormai entrata nel DNA di gran parte della popolazione mondiale. Drammatica perché quando un mezzo diventa fine (diventa “idolo” in questo caso) si perde il senso delle cose. Quando non capisco più che una forchetta mi serve per mangiare ma comincio a volere A TUTTI I COSTI quella forchetta…allora ci si risveglia in un mondo in cui la gente parla di spread, di mib, di pil, di borsa che sale e che scende…credendo di star dicendo qualcosa di serio, qualcosa che ha davvero a che fare con la realtà. Ma questa roba non ha nulla a che vedere con l’uomo. E’ un falso, è un inganno. Ce lo vogliamo dire, almeno inter nos? Signori politici nostrani, sarebbe un grosso passo in avanti se invece di arrampicarvi sugli specchi per spiegarci che una patrimoniale una tantum non è nulla di grave, ammetteste che siamo rimasti imbrigliati in una rappresentazione del reale con la quale ora dobbiamo per forza fare i conti perché ci siamo dentro fino al collo ma che non è, assolutamente NON è, l’unica possibile. E che va superata. Non dobbiamo adeguarci o morire, al contrario è adeguarci che significa morire. Non ci servono dei tecnici che ripianino i bilanci se poi non abbiamo dei visionari che ci mostrino cosa farne, del pareggio di bilancio! Uomini cioè che perseguano una “visione”, un ideale, non più basato sul soldo. Che abbiano cambiato la mente, cioè l’ottica, la prospettiva. Che sappiano parlarci di cose belle, perché l’uomo ha bisogno di bellezza. Che vedano dove sta l’essenziale. Che siano VIVI. Rinfrancatevi, voi che siete rimasti vivi nonostante tutto, perché il momento è propizio! Su una tabula rasa possiamo riscrivere tutto daccapo, tutto come piace a noi. L’universo ce lo sta chiedendo a gran voce: “svegliatevi, fate un salto di umanità!” Lo dovremo fare comunque, volenti o nolenti. E allora buttiamo il cuore oltre l’ostacolo, non il portafoglio…perché così facendo, superato l’ostacolo ci troveremo un cuore! Il nostro, insieme a quello del mondo, che ci ringrazia. Buona giornata a tutti voi – e so che ci siete – che tenete duro e rimanete VIVI, nonostante tutto.

sabato 5 novembre 2011

LO STATO...E NOI

Oggi, riflettendo sul fatto che nella pratica ormai tutti gli Stati del mondo sono diventati fantocci nelle mani dei grandi banchieri internazionali, una lobby in grado di pilotare gli eventi a livello globale attraverso il proprio immenso potere economico, mi sono chiesta chi fosse in effetti lo “Stato”, questa entità sempre tirata in causa ma a ben pensarci un po’ misteriosa. Normalmente quando si parla di Stato si tende ad identificarlo col Governo (“ci deve pensare lo Stato”, “è un segreto di Stato”), termine che a sua volta, nel passaggio dall’astratto al concreto, prende necessariamente la forma di persone in carne ed ossa. Per farla breve, e per calare il ragionamento nel nostro quotidiano, ho considerato che quando parliamo di Stato a San Marino, il pensiero va inevitabilmente a quella ventina di volti noti, sempre gli stessi, che ci hanno accompagnato fin dalla prima infanzia (perlomeno la mia), quelli che qualcuno chiama La Casta. E allora non ho potuto fare a meno di domandarmi: “Possibile che quelle venti volpi, che hanno sempre dimostrato ampia agilità nel farsi – e bene - i propri affari, si lascino prendere per la collottola da un gruppetto di avidi faccendieri?” Si è aperto allora un varco nella mia mente sopita di sammarinese che non si era mai interessata alla vita pubblica ai tempi, ormai andati, delle vacche grasse ma che è costretta a farlo ora… Non sarà che lo Stato in realtà è un essere camaleontico e malleabile, che cambia faccia e forma a seconda delle occasioni? In effetti recentemente mi pare di aver capito che quando c’è da “salvare una banca” o da “chiudere un buco” qualsiasi nel bilancio pubblico…allora lo Stato siamo NOI, i cittadini. Lo deduco dal fatto, e correggetemi se sbaglio, che i soldini necessari li vengono a prelevare concretamente dai nostri stipendi, dalle nostre future pensioni (così future che non riusciamo più a vederle), dai fondi comuni di emergenza, e via dicendo… (A proposito…ma se io pago per salvare una banca e poi un giorno mi serve un mutuo e vado da quella stessa banca a chiederlo…cosa fa, mi ripresta i miei soldi e mi ci fa pure pagare su gli interessi?...a questo punto della questione mi sento un po’ idiota, non so voi…). Poi però, quando c’è da prendere qualche decisione importante, in qualunque ambito, ecco che magicamente lo Stato tornano ad essere LORO, quelle venti faccette da Muppet, che mica ti chiedono cosa ne pensi…Sono stati delegati, e quindi!!! Scusate…ma se mi rappresentate quando c’è da decidere qualcosa, non dovreste rappresentarmi anche quando è ora di tirar fuori la grana…? Così per dire, eh, è solo un dubbio… Cui ne segue un altro – si sa, quando si comincia a porsi domande poi è un disastro…- Non sarà mica che, data la natura fluida di questa entità, quei venti personaggi a volte, nelle notti di luna piena, improvvisamente non sono più lo Stato ma diventano…il gruppetto di faccendieri? Magari proprio in quelle occasioni in cui NOI diventiamo lo Stato? Sarò paranoica, ma spiegherebbe come mai il potere politico si lasci apparentemente tenere in scacco da quello economico. Le chiamano commistioni, credo. Beh beh, lasciamo stare, va’…Una volta appurato che quando c’è da pagare lo Stato siamo NOI e quando c’è da decidere lo è qualcun altro…resta da capire se ci sta bene così. Evidentemente sì, perché i primi ad aver venduto la sovranità del nostro Paese – cosa che oggi rimproveriamo un giorno sì e l’altro pure ai nostri governanti – siamo proprio NOI, nel momento in cui ci siamo dimenticati di essere lo Stato, o peggio ci siamo adeguati ad esserlo a corrente alternata. Come può difendere e ribadire la propria sovranità uno Stato i cui componenti fondamentali – i cittadini – hanno rinunciato a difendere la loro? Come si fa a scandalizzarsi della paralisi di uno Stato, quando i cittadini che lo costituiscono sono i primi a praticare l’inazione, restando immobili persino davanti all’inverosimile? Una cosa è certa: se lo Stato muore, fagocitato da un modello economico che sta implodendo su se stesso, non muoiono quei venti là, moriamo NOI. Perché in quell’occasione lo Stato saremo NOI, potete giurarci. E a quel punto le cose diventeranno chiare, non si tratterà più di “Stato” da una parte e “Finanza” dall’altra…si tratterà di due fasce di umanità, i poveri e i ricchi, i potenti e gli inermi, i padroni e gli schiavi, separati da un baratro. Dicono sia quello cui mira il Nuovo Ordine Mondiale. Ma questa è un’altra storia. Speriamo.

domenica 11 settembre 2011

DISCERNIMENTO E GIUDIZIO

Scrivo questo post per rispondere ad una domanda che mi è stata posta da un amico in un’occasione in cui ho affermato l’importanza di praticare il non-giudizio. “E come si fa a non giudicare”? – mi ha chiesto. Se ben capisco, quello che la domanda (legittima) sottintende è: non giudicare significherebbe vivere pensando che tutto è uguale, che non ci sono differenze, non c’è bianco e non c’è nero, nulla può piacerci o dispiacerci, non c’è nemmeno motivo per fare una scelta anziché un'altra, insomma, sarebbe come se l’uomo rinunciasse a ciò che più lo caratterizza, la sua capacità di giudizio, appunto, che lo distingue dagli altri esseri,…e in questo caso tanto varrebbe essere un animale o un vegetale. In effetti questa obiezione sorge quasi spontanea…per il fatto che normalmente confondiamo il Giudizio con il Discernimento, considerandoli erroneamente termini intercambiabili. Ma mentre il discernimento è puro, è cioè la semplice capacità della nostra mente di notare delle differenze o di fare una descrizione di qualcosa, il giudizio è come un parassita che immediatamente si impossessa di tale descrizione connotandola positivamente o negativamente a seconda delle emozioni che suscita in noi. Guardo passare la mia vicina e noto che è tirata a lucido. Questo è discernimento. Ma se il fatto che sia così ben vestita mi accende un sentimento del tipo “quante arie si dà”, o “sarebbe meglio spendesse i suoi soldi per altro”, questo è giudizio. Il giudizio scaturisce laddove il corpo mentale si interseca con quello emotivo, in particolare quando sono coinvolte le categorie “morali”, quelle che dividono tra bene e male, buono e cattivo, giusto e sbagliato. Ed è un meccanismo a cui siamo talmente abituati che ci sembra inevitabile, normale. Persino irrinunciabile: chi saremmo se non avessimo opinioni? O emozioni? Ma non è giudicando che ci assicuriamo una identità, anzi…ci assicuriamo solo una vita da marionette, dato che i criteri su cui basiamo i nostri giudizi sono interamente indotti (ma questo è un discorso che qui non ho spazio per approfondire). Infine, l’aspetto più interessante del giudizio è che solo e unicamente noi siamo in grado di dire se stiamo o no “giudicando” qualcuno o qualcosa…in quanto l’elemento decisivo non è la frase (o il pensiero) che pronunciamo, bensì la sensazione di fastidio che proviamo o non proviamo in concomitanza. Posso infatti dire: “Quell’alunno non studia abbastanza”. E’ un giudizio o no? Soltanto io sono in grado di sapere se nel pronunciare quella frase ho semplicemente constatato un dato di fatto in maniera neutra, o se ho provato una emozione negativa al riguardo, che può essere rabbia, disprezzo, senso di superiorità, e così via. E qui allora occorre, per chi fosse interessato a lavorarci su veramente, una buona dose di onestà con se stessi. Per tornare alla domanda iniziale…Come si fa a non-giudicare? Certamente non lo si fa da un giorno all’altro, inizialmente richiede uno sforzo, però è possibile. Se è vero, infatti, che la mente – essendo per sua natura “duale” - non può smettere di fare il suo lavoro di divisione (discernere), è altrettanto vero che ci si può allenare a fermarla un attimo prima che al discernimento si attacchi il giudizio, o almeno ad accorgersi di averlo emesso, in modo da disidentificarci da esso. Il perché sia conveniente smettere di giudicare (quasi più che smettere di fumare :-)) l’ho già descritto in un post che si trova più sotto “Nella trappola del giudizio” e al quale rimando per completezza.

lunedì 11 luglio 2011

IL LINGUAGGIO DEL POTERE



Una cosa è certa: DOBBIAMO DORMIRE. Questo è ciò che vogliono tutti i POTERI, dove per poteri intendo quelle classi che a livello mondiale hanno in mano le redini economiche, politiche e spirituali di un’umanità che conducono come un cavallo instupidito.
Uno degli effetti collaterali di vivere nel tentativo di passare almeno qualche minuto del proprio quotidiano da “svegli”, è che di tanto in tanto ti si accendono dei barlumi di consapevolezza e in uno di questi attimi di grazia ho realizzato quale grande funzione ipnotizzante possa avere il linguaggio e come questo venga utilizzato come ennesimo elemento di dominio.
Non sto parlando del linguaggio in senso lato, cioè di quella meravigliosa facoltà che consente la comunicazione tra noi terrestri che ancora abbiamo un fondamentale bisogno della parola…
Parlo invece dei linguaggi formalizzati, tecnici, specificamente assegnati ad un determinato ambito.
E questo video – arrivatomi, come sempre “per caso”, con tempismo perfetto - mi ha fornito lo spunto che cercavo come esempio, oltre ad avermi riempito il cuore di contentezza .

http://youtu.be/kO1BewZKRUs


Il tizio lì, Claudio, lo speaker dell’aereo, fa una cosa grandiosa…rompe l’aspettativa. Spirito evidentemente vivace, si permette di mettere in scena una rappresentazione che probabilmente tante volte gli era passata per la testa, ma che il linguaggio spettante al suo ruolo non gli avrebbe consentito.
E la gente si sveglia. Ride. Nota parole che altrimenti gli sarebbero scivolate da un orecchio all’altro come il ronzio di una mosca.
A volte mi capita ancora di andare ad una Messa…o di assistere ad una celebrazione in tv. Al di là delle formule ripetute, già di per sé funzionali allo sbadiglio non solo fisico, ma anche mentale, resto sempre colpita dall’atmosfera mesta e pesante, dal tono univoco del prete (da quello vecchio a quello più giovane il tono non cambia, fateci caso) e dei lettori. Una cantilena solenne, che parla di vita, gioia e gratitudine, e incredibilmente si esprime con una cadenza lamentosa, appena più gioiosa di una campana da morto. Questo è addormentante.
Basta accendere un attimo il nostro radar personale per accorgerci che siamo circondati da esempi del genere.
C’è ovviamente il politichese, quell’accozzaglia di parole trite e ritrite, girate e rigirate in mille zuppe, in un caos vestito da idee o ideologie: un codice studiato appositamente per far credere all’ascoltatore di non essere abbastanza intelligente per capire, quando in realtà non ha capito per il semplice fatto che niente è stato detto. Questo è addormentante.
C’è il linguaggio del telegiornale, oggettivo, concitato, o ammiccante, ma principalmente mirato a trasmettere ansia, come si percepisce già dalla sigla e dalla lettura dei titoli.
Ci sono i cronisti sportivi, idolatri dell’iperbole, le cui frasi sono talmente scontate che possiamo indovinarle ancor prima che le pronuncino. Questo è addormentante.
Non sto dicendo che certi linguaggi non vanno insegnati o imparati, ma che vanno imparati e poi – in certi casi – superati, scardinati. Io sono un’amante delle parole, tant’è vero che ho fatto del linguaggio il mio mestiere. Per me conoscere una lingua significa avere orecchie per sentire e la possibilità di penetrare significati.
Ma il linguaggio “consono” addormenta. Soprattutto quando è volutamente svuotato ed utilizzato per questo scopo. I POTERI creano nelle persone, anche attraverso questi canali, un’abitudine, un’aspettativa, che ogni qualvolta viene rispettata produce, sì, un senso di rassicurante linearità, ma che allo stesso tempo ipnotizza. Chi è abituato ad ascoltare sempre le stesse cose, nello stesso modo, dopo un po’ non le sente più, perde letteralmente la capacità di ascolto (quello vero), perché la mente non deve più sforzarsi.
Eppure – o dovrei dire “infatti” - tendiamo ad apprezzare chi si esprime con proprietà, mentre facilmente critichiamo chi non rientra nei parametri. Immagino un lettore di TG con un accento vagamente locale, invece che ripulito da un corso di dizione. Immagino un rappresentante istituzionale che rinunciando ai convenevoli apre un congresso ringraziando la bella barista che gli ha preparato l’aperitivo. Immagino un prete o un “fedele” che durante un’omelia si fanno una sonora risata in mezzo al silenzio stopposo. Immagino un’insegnante (io?) che prende la parola in un collegio docenti e fa un intervento in Pippese (“mi-pi scu-pu-si-pi Pre-pe-si-pi-de-pe!!”l’avete usata tutti, la lingua della P, da piccoli, no? Io sono ancora bravissima!:-)). E rido. Rido, non per il gusto di prendere in giro qualcuno. Rido perché mi sono svegliata. Perché so che tutti quelli intorno per un piccolissimo istante si sono svegliati. Rido perché per un attimo il sonno è stato vinto.

domenica 17 aprile 2011

DECALOGO QUOTIDIANO-II


NON PUO’ MANCARMI NULLA DI CIO’ CHE MI SERVE A DIVENTARE LA PERSONA CHE HO DECISO DI ESSERE, altrimenti detto, quello che ho, o che non ho, è esattamente ciò che mi serve - né più né meno - per quello che devo fare in questo momento.
Per spiegare questa affermazione è necessario dividerla in due parti…e voglio partire dall’ultima, perché sapere chi è “la persona che ho deciso di essere” è tutt’altro che banale: non si tratta di buoni propositi o di un’aspirazione all’affermazione di sé, ma ha invece a che fare con la scoperta della propria “missione” in questa esistenza. In realtà io non “decido” chi voglio essere, ma “scopro” chi sono, cosa ci sto a fare qua, quale pezzo del mosaico vado a ricoprire, e faccio di questa scoperta l’obiettivo della mia vita. In questa prospettiva il termine “missione” perde il suo alone di straordinarietà, che lo fa percepire come qualcosa di esagerato e riservato a pochi, e diventa invece prerogativa di tutti, o almeno di chiunque sia disposto a vivere questa vita ricercandone il senso. Spesso ho chiesto ai miei “insegnanti” come si facesse ad essere sicuri di aver individuato il proprio “piano di volo”…ma una risposta semplice non c’è; dire “guardandosi dentro” significa tutto e niente: certamente la certezza la si trova in sé, ma solo dopo un assiduo lavoro di auto-osservazione e di pulizia, che ci consenta gradualmente di eliminare i condizionamenti, di zittire le voci ingannevoli e i pensieri indotti, di ascoltare le propensioni e i desideri profondi dell'anima e di leggere i segnali che l’esistenza ci sparge amorevolmente sulla via come le briciole di Pollicino. Quando finalmente avviene, l’incontro con la propria missione è un’esplosione di gioia, simile ad un abbraccio con l’infinito; dapprima entusiasmante come l’innamoramento, in un secondo momento pone degli ostacoli che possono scoraggiarci o farci cadere preda dei dubbi, ma che sono allo stesso tempo gli scalini da salire per arrivare alla meta. Una meta che in effetti non si raggiunge mai, ma non per questo è meno appagante, in quanto l’obiettivo è già intrinseco nel percorso, la destinazione è già nel viaggio. La gioia dell’esistere per la propria missione è già il suo compimento, poiché Un individuo che ha sviluppato una VISIONE in cui credere è qualcuno che ha smesso di uccidersi dentro. L’Obiettivo lo resuscita a ogni istante. (V. Ignis)
Poniamo che a questo punto sappiamo qual è il compito che ci viene chiesto di realizzare. Cosa succede? Succede che nel momento in cui io abbraccio la mia missione e per essa vivo, l’esistenza – che è il mio mandante – non può farmi mancare "l'attrezzatura" che mi serve per compierla. Ci sembra di possedere troppo poco? Che parliamo di ricchezze materiali o doti intellettuali/spirituali, dobbiamo aver fiducia che abbiamo esattamente quello di cui necessitiamo per l’oggi, forse quello che in questo momento siamo capaci di amministrare e che aumenterà domani in proporzione alla nostra crescita. Del resto prima nasce l’obiettivo, si radica nel cuore, e poi l’universo si muove per far sì che arrivino anche i mezzi per realizzarlo, in modi che noi nemmeno abbiamo la fantasia di immaginare.
Riassumendo, una volta presa coscienza della propria missione, l’invito è duplice: da un lato, ancora una volta, a rinunciare a qualsiasi tipo di lamentela, nella consapevolezza che ciò che abbiamo è esattamente ciò che ci serve o che siamo attualmente in grado di gestire; dall’altro a scacciare ogni sorta di paura che possa condizionare il nostro agire lungo il percorso, nella fiducia (la fede, il fuoco fisso che arde nel petto dei guerrieri) che l’esistenza non potrà non assistere, sempre ed immancabilmente, gli operai della sua vigna.

domenica 27 febbraio 2011

DECALOGO QUOTIDIANO - I


Tempo fa’, leggendo un libro dal titolo “Il cielo ti cerca” (citato in elenco qui a lato) che ho trovato molto in linea con i principi su cui si basa il mio lavoro personale, mi sono stilata un decalogo che ho poi appeso in cucina, in modo da potermelo leggere ogni giorno. Ciascuna di queste frasi, da ripetersi quasi come una mantra, ha un contenuto molto potente e ho pensato che forse poteva valere la pena di condividerle e commentarle.
1) TUTTO QUELLO CHE ACCADE INTORNO A ME HA CONSEGUENZE POSITIVE SUL QUADRO GENERALE.Questa affermazione, che d’acchito fa sicuramente storcere il naso e scatena tutta una serie di obiezioni, è a ben guardare una professione di fede “totale”. Una fede che addirittura compie un passo ulteriore rispetto a quella religiosa comunemente intesa (e mi riferisco al cattolicesimo perché è l’unica confessione che posso dire di conoscere), in quanto qui non si tratta di accettare situazioni negative o avvenimenti dolorosi rimettendosi alla consolazione divina, ma di riuscire a “vedere” che non c’è nulla di quello che accade che sia veramente negativo, che sia un male in senso assoluto. La visione è radicale: significa in pratica che qualsiasi cosa succeda, dal piano personale, al contesto locale e mondiale…tutto “ha conseguenze positive”, cioè contribuisce all’evoluzione dell’anima universale (dio) così com’è stata – o come è – pensata. Sulla strada del ritorno all’Uno, che tutti ci coinvolge, volenti o nolenti, consapevoli o inconsapevoli, ci sono necessariamente infinite dualità da risolvere, e queste si manifestano su tutti i livelli: nelle vite delle singole persone, nelle storie di interi popoli, nelle fasi del pianeta…Tutto quello che percepiamo come indesiderabile o persino come terribile – guerre, malattie, lutti, crimini, ingiustizie, periodi di crisi, disordine… - ha dunque non solo la sua ragion d’essere, ma il suo posto indispensabile nel mosaico generale, della cui esistenza faremmo bene a ricordarci costantemente, perché troppo spesso invece viviamo concentrati sul nostro misero metro quadro. Allargando lo sguardo – con questo tipo di fede – si riescono non dico a capire (perché pur sempre di fede si tratta) ma ad intuire tanti significati, tanti possibili sviluppi costruttivi di avvenimenti che normalmente sono considerati disgrazie. Difficile entrare nel dettaglio degli infiniti esempi…ma ognuno può provare già da ora a mettere una qualunque delle situazioni indesiderate della propria vita sotto questa “lente” per rendersi conto di come tutto si trasforma. Non che venga meno di colpo il dolore che certi avvenimenti comportano come naturale reazione umana, ma la consapevolezza che questi sono solo i gusci che racchiudono il seme di una nuova conquista ci permette di guardarli con occhi diversi…ed anche il dolore che ci causano si dissolverà MOLTO più rapidamente.
Scrivo volutamente sempre in termini ampi e generali, proprio per lasciare che a ciascuno arrivi quello che deve arrivare…ma, sì, sto dicendo (anche) che se veniamo licenziati, o arriva una malattia, o il nostro paese va in malora, o il nostro compagno ci lascia, o una bambina viene massacrata, o un terremoto ingoia una città, o un pazzo fa esplodere una bomba atomica…questi eventi (davanti ai quali noi certamente e giustamente prenderemo tutte le misure che riteniamo umanamente adeguate) non sono in realtà negativi, o meglio, essi avranno comunque “conseguenze positive sul quadro generale”. OVVIAMENTE questo richiede innanzitutto una visione molto meno individualistica di quella che normalmente abbiamo e poi una grande e ferma fede. Ed è il motivo per cui questa prima frase del decalogo, oltre ad essere la più importante ed onnicomprensiva, è anche una PREGHIERA, nel senso più vero di questa parola, che non significa “chiedere qualcosa”, ma “ringraziare sempre e comunque nella fiducia (fede) che tutto quello che è, è già perfetto così com’è”.

domenica 19 dicembre 2010

LA SCATOLA


Senza sapere bene perché, fino ad oggi mi ero sempre rifiutata di entrare in una camera mortuaria. In realtà le occasioni in cui mi è stato chiesto, negli anni, non sono state molte, dato che, nella attuale esistenza, mi sono stati risparmiati distacchi prematuri da famigliari o persone estremamente vicine. Ma insomma, quando è stato il turno delle mie nonne di andarsene io ho preferito ricordarle da vive. Vedere “un morto” sentivo che in qualche modo non lo avrei sopportato, e ho seguito l’istinto. Ironia del destino, la persona che aveva più insistito perché io andassi a “salutare” la nonna (“vedessi com’è bella, serena, sembra che dorma…”) era stata mia zia Angela. La mia carissima zia Angela. All’epoca si era un po’ risentita per il mio rifiuto. Fatto sta che oggi nella camera ardente c’era lei. E fatto sta che ho pensato “comincio ad essere grandina, ce la posso fare, non mi posso più nascondere dietro l’impressionabilità, forza Elena, ci vanno anche i ragazzini, fatti coraggio e vai”. Ho anche pensato “l’ho vista fino a qualche ora prima che morisse su un letto d’ospedale, le ho tenuto la mano che ormai respirava appena, non può essere tanto diverso. E poi c’è tutta la famiglia, come faccio a mancare?”
E così sono entrata. E nel giro di tre secondi ho capito. Un sacco di cose. Ma in sostanza ho capito perché non ci ero mai voluta andare. Squallore, compassione, assurdità: mi sono piombati addosso tutti insieme, intrecciati in un’ondata di dolore che per poco non mi fa cadere per terra. Difficile sbrogliare la matassa dei pensieri e delle sensazioni: la più potente però è stata senz’altro quella di avere visto, per la prima volta, la SCATOLA. Mia zia lì non c’era più, era evidente. Non solo perché la sua anima se ne stava già sospesa a guardarci chissà da dove. Ma nemmeno il suo corpo era più il suo corpo…c’erano delle gambe, ma non erano le sue gambe, c’erano delle mani, ma non erano le sue mani. Se mi avessero detto che l’avevano completamente svuotata da tutti gli organi non ci avrei trovato niente di strano…perché quella era un sagoma di cartone, non mia zia Angela. Ho visto l’abisso che separa una persona in fin di vita da una persona morta. Il contenitore dell’anima quando l’anima se ne va. E non mi è piaciuto vederlo. Peggio, è stata una cosa orribile. Orribili anche i dettagli: i piedi legati da un laccio per tenerli uniti, il mento sostenuto da un puntello, la salma di lei adagiata su un carrello di metallo più gelido della notte di dicembre in cui ha deciso di partire.
Sono uscita dopo pochi minuti senza neanche avvicinarmi. Io l’ho salutata ieri, quando c’era ancora, e di sicuro sapeva che ero lì vicina anche se non me lo poteva dire. Sono uscita con una domanda che mi rimbombava dentro e che riguardava gli strani usi degli esseri umani…: perché mai fanno questo? Perché si riuniscono attorno ad una scatola vuota? E’ come se una persona si spogliasse e se ne andasse e noi rimanessimo lì a guardare i vestiti che ha lasciato per terra… Oltretutto, vedere il corpo che ha ospitato una persona amata così mutato, svuotato e irriconoscibile, è uno strazio atroce per la nostra parte umana. A che pro sottoporsi ad una simile tortura? E poi chi di noi vorrebbe mostrarsi ai propri cari in quelle condizioni?
Cara zia, su tante cose noi non siamo state d’accordo, su molte era impossibile persino pensare di confrontarci. Eppure non c’è mai stato un solo momento in cui l’amore reciproco sia stato messo in discussione. Sarei incapace di mettere per iscritto tutti i singoli ricordi che ho di te, e di noi insieme, per cui non ci provo neanche. Sarebbe anche inutile dirti che per la prima volta provo sulla mia pelle che in questo tipo di distacchi quello che fa più paura è non avere più la possibilità di darsi un abbraccio o dirsi una parola. Tutte queste cose – così come il bene che ti voglio – adesso le sai meglio di prima, meglio di quanto potrei mai dirtele.
Così come sai che non si muore, ma si passa semplicemente dietro al vetro… Se vuoi farmi qualche segno qualche volta, zia, o magari darmi un abbraccio, che in questo momento ne avrei tanto bisogno, bussa forte, perché io sono ancora nella scatola, non libera come te, e sicuramente, anche se mi impegnerò, farò fatica a sentirti.

giovedì 14 ottobre 2010

PICCOLA CONQUISTA


Riguardo la percezione del tempo mi sono accorta ultimamente che qualcosa è cambiato dentro di me e me ne sono accorta osservando come mi sento quando qualcuno mi rivolge le consuete frasi : "sembra ieri che finiva la scuola e siamo già qui di nuovo", "incredibile, il tempo vola", e via dicendo.
Mi sono resa conto che queste frasi non mi fanno più l'effetto di prima.
In realtà anch'io percepisco l'accelerazione del tempo (che del resto, come sappiamo, è reale), ma non mi sento trascinata, non mi sento affannata.
E’ come se il MIO tempo si fosse dilatato: è lento, è ricco, è fermo. Forse insomma ci sono riuscita, a fermarmi. A sedermi nell'occhio del ciclone. Certo, è nota anche a me la sensazione che un attimo fa' iniziasse l'estate, per esempio. Ma so che è semplicemente ovvio. Perché quel momento in cui iniziava l'estate per me era ADESSO e anche oggi che ricomincia la scuola è ADESSO. Quindi in realtà non è passato proprio nessun tempo, sono sempre stata ferma qui. Il presente sta espandendo il suo territorio, sottraendolo al passato e al futuro. Una piccola conquista.

domenica 10 ottobre 2010

LA MATERIA CHE MANCA



Entro in aula quasi ogni giorno ormai…e davanti a me i soliti ragazzi, tutti diversi, ognuno con la sua individualità, il suo carattere, i suoi sogni…ma tutti uguali per quanto riguarda l’insofferenza e la noia – quando non il rifiuto - che provano nei confronti della scuola.
PERCHE’?? – mi chiedo.
E non è una domanda retorica, non lo capisco davvero.
E’ colpa loro? Non riescono a vedere la bellezza dell’imparare? Non sono abbastanza umili per essere felici e riconoscenti delle opportunità che gli vengono date? Sono talmente viziati da non essere in grado di sopportare lo sforzo che richiede l’applicazione della mente allo studio?
O è colpa della scuola? Che, come dicono loro, insegna cose inutili, è ripetitiva, obsoleta, staccata dalla realtà? Dei professori, che sono –sempre a sentir loro – ottusi ed oscurantisti e non prendono nella minima considerazione le loro istanze?

Eppure se improvvisamente venisse realizzato il loro sogno di vedere sparire l’oggetto di tanta avversione – mi dico – cosa farebbero? Dopo qualche settimana passata a dormire, chattare su FB, girovagare qua e là, andare a ballare, magari ubriacarsi, insomma “divertirsi”e nient’altro, come sembrano desiderare… Sono abbastanza certa che anche tutto questo verrebbe a noia.
Mi riesce difficile trovare il bandolo della matassa. A me piacerebbe che la scuola non fosse un campo di battaglia ma un luogo di collaborazione in cui qualcuno desidera condividere le proprie conoscenze e qualcun altro desidera ascoltarle; vorrei che ragazzi e professori non entrassero in aula con il coltello tra i denti, pronti a difendersi gli uni dagli altri, ma con uno spirito di collaborazione reciproca, con l’intenzione di aiutarsi a vicenda per guadagnarci tutti quanti. E non accade (quasi) mai.
Allora io osservo, osservo, per scoprire l’inghippo, l'anello che non tiene… ma quello che vedo alla fine dei conti è un paradosso. Come succede con i genitori, anche con gli insegnanti i ragazzi instaurano un rapporto ambivalente: da un lato ci odiano, dall’altro hanno bisogno di noi. Da un lato detestano chi considerano troppo esigente, dall’altro criticano a bassa voce chi li lascia troppo fare e non si sa guadagnare il loro rispetto.
Sono giunta alla conclusione che, in una certa misura, i ragazzi VOGLIONO essere costretti a mantenere quell’impegno che lo studio richiede e che da soli non riuscirebbero a tirar fuori; e quella disciplina che gli consente – contestandola - di maturare una personalità più autonoma. Come dire che il conflitto, che a scuola come in famiglia sembra inevitabile, è funzionale ad una certa fase della crescita. E quindi forse devo solo accettarlo.
Una cosa che di certo farei, sarebbe inserire una materia nuova, una che assolutamente manca. Una materia a cui non saprei che nome dare (SPIRITUALITA’? RISVEGLIO? CRESCITA PERSONALE? SENSO DELL’ESSERE?), ma di cui quella che segue potrebbe essere una bozza di programmazione del primo anno…

Teoria delle grandi domande
CHI SIAMO E DA DOVE VENIAMO.
LO SCOPO DELL’ESISTERE.
DA DOVE VIENE LA SOFFERENZA.

Concetti di base
UNITA’ E DUALITA’.
LO STATO DI SONNO VERTICALE.
IL MONDO E’ DENTRO E NON FUORI.
I TRE CORPI : FISICO – ASTRALE – MENTALE.
L’ANIMA.
LA CREAZIONE DELLA PROPRIA REALTA’.

Leggi cosmiche
LA LEGGE DI ATTRAZIONE.
LA LEGGE DELLO SPECCHIO.
LA LEGGE DI COMPENSAZIONE.

Definizioni
SIGNIFICATO DI RISVEGLIO.
SIGNIFICATO DI RELIGIONE.
SIGNIFICATO DI FELICITA’.
SIGNIFICATO DI PREGHIERA.
SIGNIFICATO DI LIBERTA’.

Tirocinio
ESERCITAZIONI PRATICHE DI RICORDO DI SE’.
ESERCITAZIONI PRATICHE DI OSSERVAZIONE DI SE’.
ESERCITAZIONI PRATICHE DI NON-GIUDIZIO.
ESERCITAZIONI PRATICHE DI NON-LAMENTO.
LABORATORIO DI MEDITAZIONE.

Chissà che un giorno questa materia non venga effettivamente inserita; per quel giorno spero di avere maturato le qualifiche necessarie ad insegnarla. This is my greatest wish. Anche perché questa materia sì che cambierebbe le cose.

lunedì 13 settembre 2010

La Rosa dei Tempi


Esisterebbe il vento se non trovasse alcun ostacolo alla sua corsa? Se non ci fossero alberi da far dondolare, sabbia da sollevare, mari da increspare, vele da gonfiare, gente da spettinare? Se per assurdo osservassimo da una finestra un paesaggio completamente vuoto, senza nemmeno erba o nuvole…come potremmo intuirne la presenza o meno? Non potrebbe nemmeno frusciare o sibilare. E sfido anche un meteorologo a mostrarmi il punto esatto del globo in cui ha origine uno dei tanti venti che addirittura chiamiamo con nome e cognome.
Non è banale rendersi conto che, per quanto parliamo del vento come di un fenomeno quotidiano e famigliare, in realtà nessuno di noi l’ha mai visto né sentito se non di riflesso, tramite i suoi effetti…
A che pro questa disquisizione che a qualcuno potrebbe sembrare mera e inutile filosofia da quattro soldi?
Bene, da una parte mi piace per principio infastidire con domande poco consuete che possano anche solo per un momento distogliere dal modo usuale e meccanico di percepire la realtà; considerare qualcosa da un punto di vista diverso, per quanto assurdo ci appaia, è comunque una variante che costringe a far fare una certa ginnastica alla nostra mente cristallizzata nella routine dei soliti ragionamenti.
D’altra parte mi consente di tracciare un parallelo con il tema a me assai caro del Tempo. Allo stesso modo del vento, infatti, che viene percepito dall’uomo solo grazie agli effetti che produce, anche l’esistenza del tempo per noi è legata al fatto che percepiamo una serie di eventi che accadono, e che - apparentemente - si susseguono. Vediamo il passaggio del vento perché gli alberi si piegano, vediamo (o crediamo di vedere) il passaggio del tempo perché le cose accadono. Ora, se già in diversi post mi sono soffermata a considerare la questione del tempo, è perché intuisco che rompere lo schema temporale che ci è stato trasmesso e che diamo per scontato significherebbe spezzare forse la più pesante delle catene che ci tengono imprigionati. Molti pensatori/autori attuali (ma già lo diceva a suo modo Pascal nel XVII sec.) ci spiegano che è la mente a percepire il tempo come lineare e a situare gli avvenimenti uno dopo l’altro, ma che in realtà il Tempo è una dimensione infinita e come tale non può avere un prima e un dopo. Se è vero che il passato non è più e che il futuro non è ancora, tutto quello che c’è è il Presente, l’eterno Adesso. Questa affermazione sta anche alla base del noto motto Carpe Diem, oggigiorno tanto abusato quanto mal compreso.
Assumendo dunque come buona e veritiera questa premessa, mi sono chiesta come poter, personalmente, uscire dalla visione lineare del tempo che ci è naturale in quanto esseri umani del XXI secolo. Infatti, una cosa è diventare consapevoli (intellettualmente) del fatto che viviamo in un eterno momento presente e che passato e futuro sono solo proiezioni mentali; un’altra è arrivare a sentirlo,e vivere questa realtà, entrando in un’altra dimensione dell'esistere. L’intuizione che è venuta è stata che le immagini in questo caso possono forse aiutare a ri-programmarsi meglio di tante parole. Fino ad ora quando pensavo al tempo ho sempre pensato – immagino come molti - ad una linea retta che tende all’infinito, ma pur sempre una linea. Per cui era inevitabile che i vari momenti/avvenimenti dell’esistenza si collocassero come puntini uno dopo l’altro lungo questa linea. Non è facile uscire da questa visione così fortemente radicata. Allora ho deciso di crearmi un’immagine nuova, che potesse rappresentare il tempo non più in maniera lineare, bensì PUNTUALE. Mi sono chiesta: come posso “fregarlo”, questo nemico che pare non lasciarci scampo (anche se in realtà il nemico non è il tempo ma la nostra mente che ce lo rappresenta in un certo modo)? Come posso relazionarmi a ciò che accade, io che mi alzo, mi lavo, mi vesto, vado al lavoro, torno a casa, vado in vacanza, ecc ecc…senza vedere queste cose in successione? ...
Mi sono ricordata di aver sentito dire che l’unico punto di un ciclone in cui si può stare al sicuro è il suo occhio, cioè il suo cuore: lì il vento (eccolo di nuovo) – micidiale se ci si fa trovare sulla sua traiettoria – diventa inoffensivo… Il paragone è lampante: dove troveremo l’unico luogo di pace nel vortice del tempo che sembra risucchiarci se non proprio conquistando il suo centro e lì restando immobili?
Per cui sto attualmente tentando con questa immagine (il meglio che ho trovato, ma sono benvenute idee migliori!): penso al tempo come ad una rosa e a me come racchiusa dentro al suo nucleo; questa rosa sboccia continuamente ed ogni evento è una raggiera di nuovi petali che si schiudono. In questo modo non corro più dietro al tempo (o non mi faccio trascinare da lui) ma resto ferma, mentre lui mi sboccia intorno. Spero che questa visualizzazione, applicata con costanza, possa mano a mano andare a modificare la mia percezione del tempo, in modo da trovarmi sempre nel luogo di maggior potere, cioè al centro dell’eterno adesso.

mercoledì 4 agosto 2010

Buchi neri


Era tantissimo tempo che non mi sdraiavo su un prato a guardare le stelle. Credo da quando, in montagna, con gli amici del campeggio, ci si inoltrava nel buio fino ai tavolacci di legno nella notte di San Lorenzo. Comunque, questa sera la temperatura era perfetta, il canto dei grilli assordante, le luci della riviera “più brillarelle” che mai, i ricordi della giornata abbastanza piacevoli da volerci fantasticare un po’ su in solitudine e il mio cane felice di starsene un po’ a zonzo con me. Ci avete mai fatto caso che le stelle, più le guardate e più ce ne sono? Poi dopo un po’ sembra persino che si avvicinino. Mi è venuta in mente una puntata di Quark che ho visto di recente…parlava dei buchi neri. Quei “luoghi” (o per meglio dire NON-luoghi) in cui la materia collassa ad una velocità tale da risucchiare tutto dietro di sé…in pratica una incommensurabile Implosione, che non riguarda però soltanto la materia, ma pure il tempo e lo spazio. Cioè questi punti – io li chiamerei "portali" – dell’universo si mangiano letteralmente materia, tempo e spazio (e luce, anche la LUCE). Vi rendete conto?? Una cosa spaventosa ma direi decisiva. Nel senso che una persona non può rimanere quella di prima dopo aver saputo della loro esistenza. Certo, tutti ne abbiamo visto almeno uno nel cartone animato di turno…ma sentirne parlare “scientificamente” invece che “fantascientificamente” è un’altra storia. Quello che mi ha colpito di più è che pare non siano fenomeni occasionali (la sorta di catastrofi cosmiche che ci immaginiamo), ma che ce ne sia uno in ogni galassia e che addirittura siano il fulcro generatore delle galassie stesse. Infatti, nel collassare violentemente verso l’interno, la materia (l’energia) provoca - quasi per risposta uguale e contraria - l’espulsione di altra materia ed energia, in un gioco di forze che mantenendo l'equilibrio alla fine dei conti permette l’esistenza di…di tutto quello che c’è lassù insomma. Lassù, quaggiù, che poi è lo stesso, cavolo, che noi crediamo di essere quaggiù ma invece siamo lassù, o dappertutto o in nessun luogo…Assurdi terracentrici che siamo. Come se avesse senso dire su o giù…Mi chiedo se resta ancora qualcuno che, dopo aver preso in seria considerazione la questione dei buchi neri, se la sente di continuare con la menata di Dio…Cosa può esistere di più potente di qualcosa capace di inghiottire il Tutto e allo stesso tempo di generarlo? Se Dio ci fosse, così come lo propinano a noi, intendiamoci…verrebbe risucchiato anche lui da un buco nero. :)
E se l’uomo è uno dei microcosmi che rispecchia fedelmente il macro (cosa che credo fermamente), non è geniale rendersi conto che anche noi siamo tutti dei buchi neri? In noi risucchiamo ciò che ci circonda, interpretandolo con gli strumenti a nostra disposizione, e poi lo rigettiamo all’esterno, quando interagiamo col mondo; in noi inghiottiamo il tempo (dove se n’è andato tutto il nostro passato se non dentro di noi, e dove altro esiste il nostro futuro?), e la luce e lo spazio (chiudete gli occhi, la luce entra? il fondo di voi stessi riuscite a toccarlo o a sentirlo?). Siamo dei divoratori e dei creatori cosmici, tutto è in noi e tutto viene da noi…
Come si fa a rendersi conto dell’immensità di questa realtà e a continuare a vivere prendendo sul serio le risibili nostre faccenduole terrestri? Viviamo in superficie, e quando crediamo di essere profondi è perché abbiamo scavato un buco nel deserto col cucchiaino.
elena maria cristina – incarnata nella presente esistenza da 36 anni terrestri

mercoledì 21 luglio 2010

Lo Sfidante



Rieccomi, dopo una pausa un po' (troppo) lunga. Ma prima di condividere questo video volevo guardarmelo per bene. Qualcuno lo ha definito "una delle cose più risveglianti che girano sulla rete"; di sicuro non è roba da intrattenimento. Tre ore e mezza di video suddivise in 21 capitoli da 10 minuti ciascuno, tanto tosto quanto assolutamente imperdibile. Lo Sfidante è un'entità energetica che ci resta attaccata per tutta l'esistenza nutrendosi delle nostre emozioni, prevalentemente quelle negative; in pratica un parassita che ha preso il comando della nostra mente di superficie e ha tutto l'interesse a farci credere di "essere" lui. La strada per la nostra liberazione passa attraverso lo sforzo di disidentificazione da questa entità; per arrivare a comprendere quello che siamo dobbiamo prima comprendere quello che NON siamo. La descrizione che viene fatta è chiara e affascinante, il testo supportato da splendide citazioni di varie tradizioni di ricerca spirituale, il ritmo lento e l'atmosfera studiata per colpire nel segno. Se volete investire un po' del vostro tempo in "oro", due capitoletti a sera prima di andare a nanna (solo se non siete troppo stanchi, però!) saranno per una decina di giorni il sostitutivo di un buon libro. Poi i coraggiosi che si cimenteranno in questa impresa (in realtà io la sera non vedevo l'ora di continuare la visione) sono pregati di farmi sapere.

p.s.Come al solito non riesco a caricare il video qui, per cui quello che dovete fare per vedere i primi dieci minuti è cliccare YOUTUBE (qui a destra nei miei link) e poi inserire il titolo Lo Sfidante 1.

lunedì 21 giugno 2010

Disease Mongering

Non posso non condividere con voi questo video in cui sono incappata quasi per caso e che spiega veramente bene, in modo semplice e chiaro, come funziona il sistema sanitario mondiale e come esso sia appositamente creato non solo per far soldi ma anche e soprattutto per controllare le masse, manipolarle e renderle schiave. Regalatevi quaranta minuti di parole preziose, che tramite voi sicuramente raggiungeranno anche altre persone contribuendo alla nascita di sempre più uomini liberi. Grazie.
P.S. purtroppo non sono riuscita a caricarlo, evidentemente è troppo pesante...ma lo potete aprire dalla home di www.disinformazione.it oppure su Youtube cercando Disease Mongering (accesso rapido dai miei link qui a destra).

lunedì 7 giugno 2010

NELLA TRAPPOLA DEL GIUDIZIO


Oltre a quello sulla non-lamentela, l’altro lavoro fondamentale e molto stimolante lungo il percorso del risveglio e della crescita personale è quello sul non-giudizio. Per parlarne voglio partire da una considerazione di un mio alunno quindicenne che, in modo semplice ma efficace, ha tracciato un bel parallelismo tra giudizio e libertà. “Non riusciremo mai – mi ha detto – a sentirci davvero liberi di essere, di parlare e di fare, perché la società con le sue convenzioni e giudizi ci blocca, ce lo impedisce.” E’ un’osservazione intelligente, sebbene ancora limitata. E' vero, spesso non agiamo come vorremmo, o non diciamo le cose che vorremmo dire per paura di essere giudicati. Mi viene sempre in mente il classico momento in cui, al termine di una conferenza, il moderatore apre il dibattito e nessuno ha il coraggio di fare domande. Prendere il microfono significa, per i più, esporsi al giudizio di una terribile platea e rischiare una figuraccia. Ma questo è solo un piccolo esempio, cui se ne possono aggiungere altri cento: nel vestire, nel modo di comportarsi, nell’esprimere le proprie opinioni, nel fare determinate scelte…quanti di noi possono dire di sentirsi VERAMENTE liberi? Magari così d’impulso, e sull’onda dell’orgoglio personale, molti risponderebbero che loro no, non si fanno condizionare, che fanno e dicono sempre ciò che vogliono; ma basta fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto che non è così. Andremmo al supermercato in pantofole? O a cena fuori con la camicia macchiata? Diremmo ad una persona che ci mostra orgogliosa il suo borsello firmato che ci sembra una ridicola assurdità aver speso tanti soldi per una schifezza simile? :) Improbabile. Molto più probabile che la critichiamo due ore dopo parlando con qualcun altro.
Allora ci sono due aspetti in gioco: da una parte non ci sentiamo liberi di essere noi stessi perché temiamo il giudizio degli altri, dall’altra non perdiamo occasione per criticare ed emettere il nostro verdetto sui comportamenti altrui(sport nazionale italo-sammarinese dopo il calcio e la lamentela). Libertà e giudizio. Correlati in che modo?
E’ presto detto:...se ci sentiamo giudicati è perché giudichiamo. Giudichiamo gli altri e giudichiamo noi stessi. Per la solita legge dello specchio noi possiamo "vedere" il giudizio negli altri solo se è un’istanza che abbiamo noi per primi. Il cane si morde la coda, la nostra “mancanza di libertà” è auto-creata.
Come si esce allora dalla trappola? L’insegnamento è semplice: ...smetti di giudicare e non ti sentirai più giudicato, poiché tutto quello che si realizza all'interno di te si realizza fuori. Se dal TUO mondo estirpi il giudizio, semplicemente la sensazione di essere giudicato dall’esterno non esisterà più. L’inevitabile conseguenza è che sarai libero. Certo, smettere di giudicare è difficile quanto smettere di lamentarsi... ma sono due porte principali verso l'autocoscienza e la libertà. (Tentare di) praticare quotidianamente il NON-GIUDIZIO guarisce e libera. Non dovete crederci, ma solo...provare, x rendervene conto.

mercoledì 19 maggio 2010

L'eterno Adesso



Da bambina una delle cose che facevo spesso prima di addormentarmi era…tentare di immaginarmi l’eternità. Ad occhi chiusi nel buio, armata delle mie modeste risorse, affrontavo l’impresa: cominciavo a pensare ad una linea di tempo che iniziava…ma che non poteva terminare. La mente galleggiava, restava sospesa più che poteva…poi ad un certo punto tentava di appoggiarsi da qualche parte, cercava una fine…ma no, non era lì che finiva, nemmeno ora, nemmeno ora, …nemmeno ora…wow…avanti così finché arrivava il senso di vertigine. L’intuizione dell’abisso. Una frazione di attimo, poi si tornava indietro. Credo che fosse perché varcare quel limite non era sopportabile, avrebbe significato il collasso della mente. Devo dire che in questo giochetto ero più brava allora di quanto non lo sia adesso. Almeno in quel lampo di intuizione era come se l’eternità l’avessi compresa (cum-prehesa, fatta mia). Ci ho riprovato di recente, non ci riesco più. Potere dei bambini, che sono realmente più vicini all’Uno.
Alla fine del Liceo, nel mio tema di maturità, tutta intrisa di filosofia – la mia materia preferita – così scrivevo a proposito del tempo: “Il tempo stesso (…) non è altro che il prodotto di due forze opposte – passato e futuro - di cui il presente è la sintesi immaginaria. Immaginaria perché di per sé non esistente: il carpe diem è prerogativa da superuomini e il nostro presente non è che la zona di risacca, in cui l’onda del passato e l’onda del futuro si avvicinano fino a toccarsi e, fondendosi, si annullano a vicenda”.
Dalla difficoltà di “afferrare” l’eternità, cioè l’infinitamente grande, alla difficoltà di afferrare il momento presente, schiacciato e quasi annullato dall’istante prima e dall’istante dopo… perché anche cogliere l’attimo pone lo stesso problema di cum-prehensione, stavolta nell’infinitamente piccolo.
Sarà mica che l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo sono la stessa cosa? Ovviamente sì. Sarà mica che l’eternità non è una linea da immaginarsi senza inizio né fine…ma un “punto”, senza dimensioni, eternamente presente? Ovviamente sì.
Se riuscissimo a liberarci dall’illusione della mente, che ci crea un prima e un dopo, secondo la sua solita percezione duale, ci renderemmo conto che l’eternità non è qualcosa che ci sovrasta e ci inghiotte, ma che ci costituisce. Non si tratta di cercarla o di capirla, ma solo di riconoscerla e viverla. Perché noi SIAMO unicamente nell’eterno Adesso.

martedì 11 maggio 2010

L'urlo dell'anima


“Borné dans sa nature, infini dans ses voeux, l’homme est un Dieu tombé qui se souvient des Cieux” – Alphonse de Lamartine (Méditations poétiques)
Di tutti gli aforismi che conosco, questa è forse la frase che amo di più in assoluto. Limitato nella sua natura, infinito nei suoi desideri…l’uomo è un Dio decaduto che si ricorda dei Cieli. Mi pare che descriva perfettamente la condizione umana. Condizione che risente di un conflitto insanabile…il Divino, con i suoi attributi di Unità, Infinità ed Eternità, si è diviso, si è incarnato, si è fatto materia, è stato rinchiuso in un involucro finito, circoscritto nel tempo e nello spazio. Così l’uomo è Dio, ma non se lo ricorda… Abita un mondo che non è suo, che lo costringe, che lo inchioda.
Mi chiedo: non è forse questo un motivo sufficiente a giustificare la sua perenne inquietudine? Il suo senso di malessere, la sua rabbia, la sua depressione? Quando si discute di disagio giovanile, ad esempio, sento continuamente tirare in ballo una presunta mancanza di valori, la crisi della famiglia, i modelli sbagliati, e via discorrendo…in un parlarsi addosso che non arriva da nessuna parte, figuriamoci ad una soluzione del problema. Semplicemente perché il problema non è un problema…al contrario è quanto di più ovvio possa esserci! Nell’adolescenza infatti comincia a manifestarsi nell’essere umano – fino ad allora bambino - una certa consapevolezza di sé…e con essa la sensazione che ci sia “qualcosa che non va”. Ragazzi! – gli direi – ragazzi! State tranquilli, è tutto ok! Se vi sentite strani, se c’è un vuoto che vi abita, se vi sembra tutto assurdo, se vi sentite persi e inquieti…è solo normale. Questo infatti è il momento in cui gli adulti dovrebbero – non criticarvi e nemmeno darvi le istruzioni per cavarvela nella vita – semplicemente dovrebbero spiegarvi chi siete e come mai vi sentite così, e dirvi che quello che non vi dà pace è l’urlo straziante dell’anima imprigionata che lotta per farvi ricordare da dove venite!! Perché Lei se lo ricorda. Dovrebbero dirvi questo – se lo sapessero. Perché a loro stessi non è stato spiegato. Gli è stato detto che sono esseri piccoli e deboli, alla mercè del mondo, del destino, o di Dio, un Dio buono ma incomprensibile, che agisce secondo piani imperscrutabili che all’uomo non è dato di conoscere. E questo fraintendimento si tramanda di generazione in generazione.
Passata la fase dell’adolescenza, quasi sempre l’inquietudine si affievolisce… La “malattia” sembra superata. L’adolescente, con i suoi estremismi e i suoi eccessi, è guarito. L’adulto trova la sua strada, la sua religione, la sua filosofia, il suo senso dell’esistere…oppure smette semplicemente di porsi tante domande e si lascia vivere. Trova un lavoro, compra una casa, si sposa, fa un paio di figli, si dedica ai suoi hobby…insomma mette “la testa a posto”. Tutto qui? Non credeteci, ragazzi. Non c’è un adulto, neanche quello che vi sembra più tranquillo e realizzato, che non senta ancora, in fondo a sé stesso, quando si trova da solo nel suo silenzio, lo stesso malessere che sentite voi. Adesso magari non è più un urlo, è una vocina. Ma non dà tregua. Non si arrende, continua a ribadire la medesima verità: TI RICORDI QUANDO ERI RE? TI RICORDI QUANDO ERI DIO?

domenica 9 maggio 2010

Messaggi dell'acqua



Tramite un caro amico sono venuta a sapere degli studi di tale Masaru Emoto, scienziato giapponese che si è dedicato ad una ricerca interessatissima sulla "sensibilità" dell'acqua. Per raccontarvela in sintesi, fotografando al microscopio campioni di acqua congelata, Emoto ha potuto constatare che la struttura dei cristalli cambia enormemente a seconda delle vibrazioni energetiche che l'acqua stessa riceve. Ad esempio i cristalli dell'acqua prelevata in una grande città sono molto più "brutti" di quelli dell'acqua prelevata in un fiume di montagna. Ma non è una questione di inquinamento, come si potrebbe pensare. E qui la cosa si fa ancora più interessante. Esponendo infatti un campione d'acqua a pensieri d'amore, di gratitudine, o ad una musica armoniosa, i suoi cristalli assumono forme meravigliose. Al contrario, i pensieri di odio e i rumori sgradevoli fanno sì che l'acqua cristallizzi in forme sgraziate. Ma il descrivere questo fenomeno a parole non può darvi l'idea, bisogna vedere con i propri occhi. E allora vi invito a guardare questo video; io sono rimasta a bocca aperta.


Non c'è molto da aggiungere...se non chiedersi come si fa a questo punto a dubitare dell'esistenza dell'energia e del potere che ha sulla nostra vita. Visto che l'uomo stesso, poi, è costituito per la maggior parte di acqua, la riflessione è d'obbligo: quanto bene e quanto male possiamo procurare a noi stessi e agli altri con i nostri pensieri e le nostre parole??