"…propositi per l’anno nuovo? Io uno ce l’ho. Quest’anno con voi voglio essere …fastidiosa, come una zanzara, come un dito nell’orecchio, come l’inquilina del piano di sopra che cammina coi tacchi e non vi lascia dormire. Voglio rompervi le scatole e lasciarvi perplessi. Soffiarvi polvere negli occhi, crearvi confusione. Mettere sotto il sopra e sopra il sotto. Darvi pizzicotti e spintarelle. Insinuarvi il dubbio su ciò che credete ovvio. Suonarvi il campanello nel mezzo della notte. Amarvi più che mai."

domenica 19 dicembre 2010

LA SCATOLA


Senza sapere bene perché, fino ad oggi mi ero sempre rifiutata di entrare in una camera mortuaria. In realtà le occasioni in cui mi è stato chiesto, negli anni, non sono state molte, dato che, nella attuale esistenza, mi sono stati risparmiati distacchi prematuri da famigliari o persone estremamente vicine. Ma insomma, quando è stato il turno delle mie nonne di andarsene io ho preferito ricordarle da vive. Vedere “un morto” sentivo che in qualche modo non lo avrei sopportato, e ho seguito l’istinto. Ironia del destino, la persona che aveva più insistito perché io andassi a “salutare” la nonna (“vedessi com’è bella, serena, sembra che dorma…”) era stata mia zia Angela. La mia carissima zia Angela. All’epoca si era un po’ risentita per il mio rifiuto. Fatto sta che oggi nella camera ardente c’era lei. E fatto sta che ho pensato “comincio ad essere grandina, ce la posso fare, non mi posso più nascondere dietro l’impressionabilità, forza Elena, ci vanno anche i ragazzini, fatti coraggio e vai”. Ho anche pensato “l’ho vista fino a qualche ora prima che morisse su un letto d’ospedale, le ho tenuto la mano che ormai respirava appena, non può essere tanto diverso. E poi c’è tutta la famiglia, come faccio a mancare?”
E così sono entrata. E nel giro di tre secondi ho capito. Un sacco di cose. Ma in sostanza ho capito perché non ci ero mai voluta andare. Squallore, compassione, assurdità: mi sono piombati addosso tutti insieme, intrecciati in un’ondata di dolore che per poco non mi fa cadere per terra. Difficile sbrogliare la matassa dei pensieri e delle sensazioni: la più potente però è stata senz’altro quella di avere visto, per la prima volta, la SCATOLA. Mia zia lì non c’era più, era evidente. Non solo perché la sua anima se ne stava già sospesa a guardarci chissà da dove. Ma nemmeno il suo corpo era più il suo corpo…c’erano delle gambe, ma non erano le sue gambe, c’erano delle mani, ma non erano le sue mani. Se mi avessero detto che l’avevano completamente svuotata da tutti gli organi non ci avrei trovato niente di strano…perché quella era un sagoma di cartone, non mia zia Angela. Ho visto l’abisso che separa una persona in fin di vita da una persona morta. Il contenitore dell’anima quando l’anima se ne va. E non mi è piaciuto vederlo. Peggio, è stata una cosa orribile. Orribili anche i dettagli: i piedi legati da un laccio per tenerli uniti, il mento sostenuto da un puntello, la salma di lei adagiata su un carrello di metallo più gelido della notte di dicembre in cui ha deciso di partire.
Sono uscita dopo pochi minuti senza neanche avvicinarmi. Io l’ho salutata ieri, quando c’era ancora, e di sicuro sapeva che ero lì vicina anche se non me lo poteva dire. Sono uscita con una domanda che mi rimbombava dentro e che riguardava gli strani usi degli esseri umani…: perché mai fanno questo? Perché si riuniscono attorno ad una scatola vuota? E’ come se una persona si spogliasse e se ne andasse e noi rimanessimo lì a guardare i vestiti che ha lasciato per terra… Oltretutto, vedere il corpo che ha ospitato una persona amata così mutato, svuotato e irriconoscibile, è uno strazio atroce per la nostra parte umana. A che pro sottoporsi ad una simile tortura? E poi chi di noi vorrebbe mostrarsi ai propri cari in quelle condizioni?
Cara zia, su tante cose noi non siamo state d’accordo, su molte era impossibile persino pensare di confrontarci. Eppure non c’è mai stato un solo momento in cui l’amore reciproco sia stato messo in discussione. Sarei incapace di mettere per iscritto tutti i singoli ricordi che ho di te, e di noi insieme, per cui non ci provo neanche. Sarebbe anche inutile dirti che per la prima volta provo sulla mia pelle che in questo tipo di distacchi quello che fa più paura è non avere più la possibilità di darsi un abbraccio o dirsi una parola. Tutte queste cose – così come il bene che ti voglio – adesso le sai meglio di prima, meglio di quanto potrei mai dirtele.
Così come sai che non si muore, ma si passa semplicemente dietro al vetro… Se vuoi farmi qualche segno qualche volta, zia, o magari darmi un abbraccio, che in questo momento ne avrei tanto bisogno, bussa forte, perché io sono ancora nella scatola, non libera come te, e sicuramente, anche se mi impegnerò, farò fatica a sentirti.

giovedì 14 ottobre 2010

PICCOLA CONQUISTA


Riguardo la percezione del tempo mi sono accorta ultimamente che qualcosa è cambiato dentro di me e me ne sono accorta osservando come mi sento quando qualcuno mi rivolge le consuete frasi : "sembra ieri che finiva la scuola e siamo già qui di nuovo", "incredibile, il tempo vola", e via dicendo.
Mi sono resa conto che queste frasi non mi fanno più l'effetto di prima.
In realtà anch'io percepisco l'accelerazione del tempo (che del resto, come sappiamo, è reale), ma non mi sento trascinata, non mi sento affannata.
E’ come se il MIO tempo si fosse dilatato: è lento, è ricco, è fermo. Forse insomma ci sono riuscita, a fermarmi. A sedermi nell'occhio del ciclone. Certo, è nota anche a me la sensazione che un attimo fa' iniziasse l'estate, per esempio. Ma so che è semplicemente ovvio. Perché quel momento in cui iniziava l'estate per me era ADESSO e anche oggi che ricomincia la scuola è ADESSO. Quindi in realtà non è passato proprio nessun tempo, sono sempre stata ferma qui. Il presente sta espandendo il suo territorio, sottraendolo al passato e al futuro. Una piccola conquista.

domenica 10 ottobre 2010

LA MATERIA CHE MANCA



Entro in aula quasi ogni giorno ormai…e davanti a me i soliti ragazzi, tutti diversi, ognuno con la sua individualità, il suo carattere, i suoi sogni…ma tutti uguali per quanto riguarda l’insofferenza e la noia – quando non il rifiuto - che provano nei confronti della scuola.
PERCHE’?? – mi chiedo.
E non è una domanda retorica, non lo capisco davvero.
E’ colpa loro? Non riescono a vedere la bellezza dell’imparare? Non sono abbastanza umili per essere felici e riconoscenti delle opportunità che gli vengono date? Sono talmente viziati da non essere in grado di sopportare lo sforzo che richiede l’applicazione della mente allo studio?
O è colpa della scuola? Che, come dicono loro, insegna cose inutili, è ripetitiva, obsoleta, staccata dalla realtà? Dei professori, che sono –sempre a sentir loro – ottusi ed oscurantisti e non prendono nella minima considerazione le loro istanze?

Eppure se improvvisamente venisse realizzato il loro sogno di vedere sparire l’oggetto di tanta avversione – mi dico – cosa farebbero? Dopo qualche settimana passata a dormire, chattare su FB, girovagare qua e là, andare a ballare, magari ubriacarsi, insomma “divertirsi”e nient’altro, come sembrano desiderare… Sono abbastanza certa che anche tutto questo verrebbe a noia.
Mi riesce difficile trovare il bandolo della matassa. A me piacerebbe che la scuola non fosse un campo di battaglia ma un luogo di collaborazione in cui qualcuno desidera condividere le proprie conoscenze e qualcun altro desidera ascoltarle; vorrei che ragazzi e professori non entrassero in aula con il coltello tra i denti, pronti a difendersi gli uni dagli altri, ma con uno spirito di collaborazione reciproca, con l’intenzione di aiutarsi a vicenda per guadagnarci tutti quanti. E non accade (quasi) mai.
Allora io osservo, osservo, per scoprire l’inghippo, l'anello che non tiene… ma quello che vedo alla fine dei conti è un paradosso. Come succede con i genitori, anche con gli insegnanti i ragazzi instaurano un rapporto ambivalente: da un lato ci odiano, dall’altro hanno bisogno di noi. Da un lato detestano chi considerano troppo esigente, dall’altro criticano a bassa voce chi li lascia troppo fare e non si sa guadagnare il loro rispetto.
Sono giunta alla conclusione che, in una certa misura, i ragazzi VOGLIONO essere costretti a mantenere quell’impegno che lo studio richiede e che da soli non riuscirebbero a tirar fuori; e quella disciplina che gli consente – contestandola - di maturare una personalità più autonoma. Come dire che il conflitto, che a scuola come in famiglia sembra inevitabile, è funzionale ad una certa fase della crescita. E quindi forse devo solo accettarlo.
Una cosa che di certo farei, sarebbe inserire una materia nuova, una che assolutamente manca. Una materia a cui non saprei che nome dare (SPIRITUALITA’? RISVEGLIO? CRESCITA PERSONALE? SENSO DELL’ESSERE?), ma di cui quella che segue potrebbe essere una bozza di programmazione del primo anno…

Teoria delle grandi domande
CHI SIAMO E DA DOVE VENIAMO.
LO SCOPO DELL’ESISTERE.
DA DOVE VIENE LA SOFFERENZA.

Concetti di base
UNITA’ E DUALITA’.
LO STATO DI SONNO VERTICALE.
IL MONDO E’ DENTRO E NON FUORI.
I TRE CORPI : FISICO – ASTRALE – MENTALE.
L’ANIMA.
LA CREAZIONE DELLA PROPRIA REALTA’.

Leggi cosmiche
LA LEGGE DI ATTRAZIONE.
LA LEGGE DELLO SPECCHIO.
LA LEGGE DI COMPENSAZIONE.

Definizioni
SIGNIFICATO DI RISVEGLIO.
SIGNIFICATO DI RELIGIONE.
SIGNIFICATO DI FELICITA’.
SIGNIFICATO DI PREGHIERA.
SIGNIFICATO DI LIBERTA’.

Tirocinio
ESERCITAZIONI PRATICHE DI RICORDO DI SE’.
ESERCITAZIONI PRATICHE DI OSSERVAZIONE DI SE’.
ESERCITAZIONI PRATICHE DI NON-GIUDIZIO.
ESERCITAZIONI PRATICHE DI NON-LAMENTO.
LABORATORIO DI MEDITAZIONE.

Chissà che un giorno questa materia non venga effettivamente inserita; per quel giorno spero di avere maturato le qualifiche necessarie ad insegnarla. This is my greatest wish. Anche perché questa materia sì che cambierebbe le cose.

lunedì 13 settembre 2010

La Rosa dei Tempi


Esisterebbe il vento se non trovasse alcun ostacolo alla sua corsa? Se non ci fossero alberi da far dondolare, sabbia da sollevare, mari da increspare, vele da gonfiare, gente da spettinare? Se per assurdo osservassimo da una finestra un paesaggio completamente vuoto, senza nemmeno erba o nuvole…come potremmo intuirne la presenza o meno? Non potrebbe nemmeno frusciare o sibilare. E sfido anche un meteorologo a mostrarmi il punto esatto del globo in cui ha origine uno dei tanti venti che addirittura chiamiamo con nome e cognome.
Non è banale rendersi conto che, per quanto parliamo del vento come di un fenomeno quotidiano e famigliare, in realtà nessuno di noi l’ha mai visto né sentito se non di riflesso, tramite i suoi effetti…
A che pro questa disquisizione che a qualcuno potrebbe sembrare mera e inutile filosofia da quattro soldi?
Bene, da una parte mi piace per principio infastidire con domande poco consuete che possano anche solo per un momento distogliere dal modo usuale e meccanico di percepire la realtà; considerare qualcosa da un punto di vista diverso, per quanto assurdo ci appaia, è comunque una variante che costringe a far fare una certa ginnastica alla nostra mente cristallizzata nella routine dei soliti ragionamenti.
D’altra parte mi consente di tracciare un parallelo con il tema a me assai caro del Tempo. Allo stesso modo del vento, infatti, che viene percepito dall’uomo solo grazie agli effetti che produce, anche l’esistenza del tempo per noi è legata al fatto che percepiamo una serie di eventi che accadono, e che - apparentemente - si susseguono. Vediamo il passaggio del vento perché gli alberi si piegano, vediamo (o crediamo di vedere) il passaggio del tempo perché le cose accadono. Ora, se già in diversi post mi sono soffermata a considerare la questione del tempo, è perché intuisco che rompere lo schema temporale che ci è stato trasmesso e che diamo per scontato significherebbe spezzare forse la più pesante delle catene che ci tengono imprigionati. Molti pensatori/autori attuali (ma già lo diceva a suo modo Pascal nel XVII sec.) ci spiegano che è la mente a percepire il tempo come lineare e a situare gli avvenimenti uno dopo l’altro, ma che in realtà il Tempo è una dimensione infinita e come tale non può avere un prima e un dopo. Se è vero che il passato non è più e che il futuro non è ancora, tutto quello che c’è è il Presente, l’eterno Adesso. Questa affermazione sta anche alla base del noto motto Carpe Diem, oggigiorno tanto abusato quanto mal compreso.
Assumendo dunque come buona e veritiera questa premessa, mi sono chiesta come poter, personalmente, uscire dalla visione lineare del tempo che ci è naturale in quanto esseri umani del XXI secolo. Infatti, una cosa è diventare consapevoli (intellettualmente) del fatto che viviamo in un eterno momento presente e che passato e futuro sono solo proiezioni mentali; un’altra è arrivare a sentirlo,e vivere questa realtà, entrando in un’altra dimensione dell'esistere. L’intuizione che è venuta è stata che le immagini in questo caso possono forse aiutare a ri-programmarsi meglio di tante parole. Fino ad ora quando pensavo al tempo ho sempre pensato – immagino come molti - ad una linea retta che tende all’infinito, ma pur sempre una linea. Per cui era inevitabile che i vari momenti/avvenimenti dell’esistenza si collocassero come puntini uno dopo l’altro lungo questa linea. Non è facile uscire da questa visione così fortemente radicata. Allora ho deciso di crearmi un’immagine nuova, che potesse rappresentare il tempo non più in maniera lineare, bensì PUNTUALE. Mi sono chiesta: come posso “fregarlo”, questo nemico che pare non lasciarci scampo (anche se in realtà il nemico non è il tempo ma la nostra mente che ce lo rappresenta in un certo modo)? Come posso relazionarmi a ciò che accade, io che mi alzo, mi lavo, mi vesto, vado al lavoro, torno a casa, vado in vacanza, ecc ecc…senza vedere queste cose in successione? ...
Mi sono ricordata di aver sentito dire che l’unico punto di un ciclone in cui si può stare al sicuro è il suo occhio, cioè il suo cuore: lì il vento (eccolo di nuovo) – micidiale se ci si fa trovare sulla sua traiettoria – diventa inoffensivo… Il paragone è lampante: dove troveremo l’unico luogo di pace nel vortice del tempo che sembra risucchiarci se non proprio conquistando il suo centro e lì restando immobili?
Per cui sto attualmente tentando con questa immagine (il meglio che ho trovato, ma sono benvenute idee migliori!): penso al tempo come ad una rosa e a me come racchiusa dentro al suo nucleo; questa rosa sboccia continuamente ed ogni evento è una raggiera di nuovi petali che si schiudono. In questo modo non corro più dietro al tempo (o non mi faccio trascinare da lui) ma resto ferma, mentre lui mi sboccia intorno. Spero che questa visualizzazione, applicata con costanza, possa mano a mano andare a modificare la mia percezione del tempo, in modo da trovarmi sempre nel luogo di maggior potere, cioè al centro dell’eterno adesso.

mercoledì 4 agosto 2010

Buchi neri


Era tantissimo tempo che non mi sdraiavo su un prato a guardare le stelle. Credo da quando, in montagna, con gli amici del campeggio, ci si inoltrava nel buio fino ai tavolacci di legno nella notte di San Lorenzo. Comunque, questa sera la temperatura era perfetta, il canto dei grilli assordante, le luci della riviera “più brillarelle” che mai, i ricordi della giornata abbastanza piacevoli da volerci fantasticare un po’ su in solitudine e il mio cane felice di starsene un po’ a zonzo con me. Ci avete mai fatto caso che le stelle, più le guardate e più ce ne sono? Poi dopo un po’ sembra persino che si avvicinino. Mi è venuta in mente una puntata di Quark che ho visto di recente…parlava dei buchi neri. Quei “luoghi” (o per meglio dire NON-luoghi) in cui la materia collassa ad una velocità tale da risucchiare tutto dietro di sé…in pratica una incommensurabile Implosione, che non riguarda però soltanto la materia, ma pure il tempo e lo spazio. Cioè questi punti – io li chiamerei "portali" – dell’universo si mangiano letteralmente materia, tempo e spazio (e luce, anche la LUCE). Vi rendete conto?? Una cosa spaventosa ma direi decisiva. Nel senso che una persona non può rimanere quella di prima dopo aver saputo della loro esistenza. Certo, tutti ne abbiamo visto almeno uno nel cartone animato di turno…ma sentirne parlare “scientificamente” invece che “fantascientificamente” è un’altra storia. Quello che mi ha colpito di più è che pare non siano fenomeni occasionali (la sorta di catastrofi cosmiche che ci immaginiamo), ma che ce ne sia uno in ogni galassia e che addirittura siano il fulcro generatore delle galassie stesse. Infatti, nel collassare violentemente verso l’interno, la materia (l’energia) provoca - quasi per risposta uguale e contraria - l’espulsione di altra materia ed energia, in un gioco di forze che mantenendo l'equilibrio alla fine dei conti permette l’esistenza di…di tutto quello che c’è lassù insomma. Lassù, quaggiù, che poi è lo stesso, cavolo, che noi crediamo di essere quaggiù ma invece siamo lassù, o dappertutto o in nessun luogo…Assurdi terracentrici che siamo. Come se avesse senso dire su o giù…Mi chiedo se resta ancora qualcuno che, dopo aver preso in seria considerazione la questione dei buchi neri, se la sente di continuare con la menata di Dio…Cosa può esistere di più potente di qualcosa capace di inghiottire il Tutto e allo stesso tempo di generarlo? Se Dio ci fosse, così come lo propinano a noi, intendiamoci…verrebbe risucchiato anche lui da un buco nero. :)
E se l’uomo è uno dei microcosmi che rispecchia fedelmente il macro (cosa che credo fermamente), non è geniale rendersi conto che anche noi siamo tutti dei buchi neri? In noi risucchiamo ciò che ci circonda, interpretandolo con gli strumenti a nostra disposizione, e poi lo rigettiamo all’esterno, quando interagiamo col mondo; in noi inghiottiamo il tempo (dove se n’è andato tutto il nostro passato se non dentro di noi, e dove altro esiste il nostro futuro?), e la luce e lo spazio (chiudete gli occhi, la luce entra? il fondo di voi stessi riuscite a toccarlo o a sentirlo?). Siamo dei divoratori e dei creatori cosmici, tutto è in noi e tutto viene da noi…
Come si fa a rendersi conto dell’immensità di questa realtà e a continuare a vivere prendendo sul serio le risibili nostre faccenduole terrestri? Viviamo in superficie, e quando crediamo di essere profondi è perché abbiamo scavato un buco nel deserto col cucchiaino.
elena maria cristina – incarnata nella presente esistenza da 36 anni terrestri

mercoledì 21 luglio 2010

Lo Sfidante



Rieccomi, dopo una pausa un po' (troppo) lunga. Ma prima di condividere questo video volevo guardarmelo per bene. Qualcuno lo ha definito "una delle cose più risveglianti che girano sulla rete"; di sicuro non è roba da intrattenimento. Tre ore e mezza di video suddivise in 21 capitoli da 10 minuti ciascuno, tanto tosto quanto assolutamente imperdibile. Lo Sfidante è un'entità energetica che ci resta attaccata per tutta l'esistenza nutrendosi delle nostre emozioni, prevalentemente quelle negative; in pratica un parassita che ha preso il comando della nostra mente di superficie e ha tutto l'interesse a farci credere di "essere" lui. La strada per la nostra liberazione passa attraverso lo sforzo di disidentificazione da questa entità; per arrivare a comprendere quello che siamo dobbiamo prima comprendere quello che NON siamo. La descrizione che viene fatta è chiara e affascinante, il testo supportato da splendide citazioni di varie tradizioni di ricerca spirituale, il ritmo lento e l'atmosfera studiata per colpire nel segno. Se volete investire un po' del vostro tempo in "oro", due capitoletti a sera prima di andare a nanna (solo se non siete troppo stanchi, però!) saranno per una decina di giorni il sostitutivo di un buon libro. Poi i coraggiosi che si cimenteranno in questa impresa (in realtà io la sera non vedevo l'ora di continuare la visione) sono pregati di farmi sapere.

p.s.Come al solito non riesco a caricare il video qui, per cui quello che dovete fare per vedere i primi dieci minuti è cliccare YOUTUBE (qui a destra nei miei link) e poi inserire il titolo Lo Sfidante 1.

lunedì 21 giugno 2010

Disease Mongering

Non posso non condividere con voi questo video in cui sono incappata quasi per caso e che spiega veramente bene, in modo semplice e chiaro, come funziona il sistema sanitario mondiale e come esso sia appositamente creato non solo per far soldi ma anche e soprattutto per controllare le masse, manipolarle e renderle schiave. Regalatevi quaranta minuti di parole preziose, che tramite voi sicuramente raggiungeranno anche altre persone contribuendo alla nascita di sempre più uomini liberi. Grazie.
P.S. purtroppo non sono riuscita a caricarlo, evidentemente è troppo pesante...ma lo potete aprire dalla home di www.disinformazione.it oppure su Youtube cercando Disease Mongering (accesso rapido dai miei link qui a destra).

lunedì 7 giugno 2010

NELLA TRAPPOLA DEL GIUDIZIO


Oltre a quello sulla non-lamentela, l’altro lavoro fondamentale e molto stimolante lungo il percorso del risveglio e della crescita personale è quello sul non-giudizio. Per parlarne voglio partire da una considerazione di un mio alunno quindicenne che, in modo semplice ma efficace, ha tracciato un bel parallelismo tra giudizio e libertà. “Non riusciremo mai – mi ha detto – a sentirci davvero liberi di essere, di parlare e di fare, perché la società con le sue convenzioni e giudizi ci blocca, ce lo impedisce.” E’ un’osservazione intelligente, sebbene ancora limitata. E' vero, spesso non agiamo come vorremmo, o non diciamo le cose che vorremmo dire per paura di essere giudicati. Mi viene sempre in mente il classico momento in cui, al termine di una conferenza, il moderatore apre il dibattito e nessuno ha il coraggio di fare domande. Prendere il microfono significa, per i più, esporsi al giudizio di una terribile platea e rischiare una figuraccia. Ma questo è solo un piccolo esempio, cui se ne possono aggiungere altri cento: nel vestire, nel modo di comportarsi, nell’esprimere le proprie opinioni, nel fare determinate scelte…quanti di noi possono dire di sentirsi VERAMENTE liberi? Magari così d’impulso, e sull’onda dell’orgoglio personale, molti risponderebbero che loro no, non si fanno condizionare, che fanno e dicono sempre ciò che vogliono; ma basta fermarsi un attimo a riflettere per rendersi conto che non è così. Andremmo al supermercato in pantofole? O a cena fuori con la camicia macchiata? Diremmo ad una persona che ci mostra orgogliosa il suo borsello firmato che ci sembra una ridicola assurdità aver speso tanti soldi per una schifezza simile? :) Improbabile. Molto più probabile che la critichiamo due ore dopo parlando con qualcun altro.
Allora ci sono due aspetti in gioco: da una parte non ci sentiamo liberi di essere noi stessi perché temiamo il giudizio degli altri, dall’altra non perdiamo occasione per criticare ed emettere il nostro verdetto sui comportamenti altrui(sport nazionale italo-sammarinese dopo il calcio e la lamentela). Libertà e giudizio. Correlati in che modo?
E’ presto detto:...se ci sentiamo giudicati è perché giudichiamo. Giudichiamo gli altri e giudichiamo noi stessi. Per la solita legge dello specchio noi possiamo "vedere" il giudizio negli altri solo se è un’istanza che abbiamo noi per primi. Il cane si morde la coda, la nostra “mancanza di libertà” è auto-creata.
Come si esce allora dalla trappola? L’insegnamento è semplice: ...smetti di giudicare e non ti sentirai più giudicato, poiché tutto quello che si realizza all'interno di te si realizza fuori. Se dal TUO mondo estirpi il giudizio, semplicemente la sensazione di essere giudicato dall’esterno non esisterà più. L’inevitabile conseguenza è che sarai libero. Certo, smettere di giudicare è difficile quanto smettere di lamentarsi... ma sono due porte principali verso l'autocoscienza e la libertà. (Tentare di) praticare quotidianamente il NON-GIUDIZIO guarisce e libera. Non dovete crederci, ma solo...provare, x rendervene conto.

mercoledì 19 maggio 2010

L'eterno Adesso



Da bambina una delle cose che facevo spesso prima di addormentarmi era…tentare di immaginarmi l’eternità. Ad occhi chiusi nel buio, armata delle mie modeste risorse, affrontavo l’impresa: cominciavo a pensare ad una linea di tempo che iniziava…ma che non poteva terminare. La mente galleggiava, restava sospesa più che poteva…poi ad un certo punto tentava di appoggiarsi da qualche parte, cercava una fine…ma no, non era lì che finiva, nemmeno ora, nemmeno ora, …nemmeno ora…wow…avanti così finché arrivava il senso di vertigine. L’intuizione dell’abisso. Una frazione di attimo, poi si tornava indietro. Credo che fosse perché varcare quel limite non era sopportabile, avrebbe significato il collasso della mente. Devo dire che in questo giochetto ero più brava allora di quanto non lo sia adesso. Almeno in quel lampo di intuizione era come se l’eternità l’avessi compresa (cum-prehesa, fatta mia). Ci ho riprovato di recente, non ci riesco più. Potere dei bambini, che sono realmente più vicini all’Uno.
Alla fine del Liceo, nel mio tema di maturità, tutta intrisa di filosofia – la mia materia preferita – così scrivevo a proposito del tempo: “Il tempo stesso (…) non è altro che il prodotto di due forze opposte – passato e futuro - di cui il presente è la sintesi immaginaria. Immaginaria perché di per sé non esistente: il carpe diem è prerogativa da superuomini e il nostro presente non è che la zona di risacca, in cui l’onda del passato e l’onda del futuro si avvicinano fino a toccarsi e, fondendosi, si annullano a vicenda”.
Dalla difficoltà di “afferrare” l’eternità, cioè l’infinitamente grande, alla difficoltà di afferrare il momento presente, schiacciato e quasi annullato dall’istante prima e dall’istante dopo… perché anche cogliere l’attimo pone lo stesso problema di cum-prehensione, stavolta nell’infinitamente piccolo.
Sarà mica che l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo sono la stessa cosa? Ovviamente sì. Sarà mica che l’eternità non è una linea da immaginarsi senza inizio né fine…ma un “punto”, senza dimensioni, eternamente presente? Ovviamente sì.
Se riuscissimo a liberarci dall’illusione della mente, che ci crea un prima e un dopo, secondo la sua solita percezione duale, ci renderemmo conto che l’eternità non è qualcosa che ci sovrasta e ci inghiotte, ma che ci costituisce. Non si tratta di cercarla o di capirla, ma solo di riconoscerla e viverla. Perché noi SIAMO unicamente nell’eterno Adesso.

martedì 11 maggio 2010

L'urlo dell'anima


“Borné dans sa nature, infini dans ses voeux, l’homme est un Dieu tombé qui se souvient des Cieux” – Alphonse de Lamartine (Méditations poétiques)
Di tutti gli aforismi che conosco, questa è forse la frase che amo di più in assoluto. Limitato nella sua natura, infinito nei suoi desideri…l’uomo è un Dio decaduto che si ricorda dei Cieli. Mi pare che descriva perfettamente la condizione umana. Condizione che risente di un conflitto insanabile…il Divino, con i suoi attributi di Unità, Infinità ed Eternità, si è diviso, si è incarnato, si è fatto materia, è stato rinchiuso in un involucro finito, circoscritto nel tempo e nello spazio. Così l’uomo è Dio, ma non se lo ricorda… Abita un mondo che non è suo, che lo costringe, che lo inchioda.
Mi chiedo: non è forse questo un motivo sufficiente a giustificare la sua perenne inquietudine? Il suo senso di malessere, la sua rabbia, la sua depressione? Quando si discute di disagio giovanile, ad esempio, sento continuamente tirare in ballo una presunta mancanza di valori, la crisi della famiglia, i modelli sbagliati, e via discorrendo…in un parlarsi addosso che non arriva da nessuna parte, figuriamoci ad una soluzione del problema. Semplicemente perché il problema non è un problema…al contrario è quanto di più ovvio possa esserci! Nell’adolescenza infatti comincia a manifestarsi nell’essere umano – fino ad allora bambino - una certa consapevolezza di sé…e con essa la sensazione che ci sia “qualcosa che non va”. Ragazzi! – gli direi – ragazzi! State tranquilli, è tutto ok! Se vi sentite strani, se c’è un vuoto che vi abita, se vi sembra tutto assurdo, se vi sentite persi e inquieti…è solo normale. Questo infatti è il momento in cui gli adulti dovrebbero – non criticarvi e nemmeno darvi le istruzioni per cavarvela nella vita – semplicemente dovrebbero spiegarvi chi siete e come mai vi sentite così, e dirvi che quello che non vi dà pace è l’urlo straziante dell’anima imprigionata che lotta per farvi ricordare da dove venite!! Perché Lei se lo ricorda. Dovrebbero dirvi questo – se lo sapessero. Perché a loro stessi non è stato spiegato. Gli è stato detto che sono esseri piccoli e deboli, alla mercè del mondo, del destino, o di Dio, un Dio buono ma incomprensibile, che agisce secondo piani imperscrutabili che all’uomo non è dato di conoscere. E questo fraintendimento si tramanda di generazione in generazione.
Passata la fase dell’adolescenza, quasi sempre l’inquietudine si affievolisce… La “malattia” sembra superata. L’adolescente, con i suoi estremismi e i suoi eccessi, è guarito. L’adulto trova la sua strada, la sua religione, la sua filosofia, il suo senso dell’esistere…oppure smette semplicemente di porsi tante domande e si lascia vivere. Trova un lavoro, compra una casa, si sposa, fa un paio di figli, si dedica ai suoi hobby…insomma mette “la testa a posto”. Tutto qui? Non credeteci, ragazzi. Non c’è un adulto, neanche quello che vi sembra più tranquillo e realizzato, che non senta ancora, in fondo a sé stesso, quando si trova da solo nel suo silenzio, lo stesso malessere che sentite voi. Adesso magari non è più un urlo, è una vocina. Ma non dà tregua. Non si arrende, continua a ribadire la medesima verità: TI RICORDI QUANDO ERI RE? TI RICORDI QUANDO ERI DIO?

domenica 9 maggio 2010

Messaggi dell'acqua



Tramite un caro amico sono venuta a sapere degli studi di tale Masaru Emoto, scienziato giapponese che si è dedicato ad una ricerca interessatissima sulla "sensibilità" dell'acqua. Per raccontarvela in sintesi, fotografando al microscopio campioni di acqua congelata, Emoto ha potuto constatare che la struttura dei cristalli cambia enormemente a seconda delle vibrazioni energetiche che l'acqua stessa riceve. Ad esempio i cristalli dell'acqua prelevata in una grande città sono molto più "brutti" di quelli dell'acqua prelevata in un fiume di montagna. Ma non è una questione di inquinamento, come si potrebbe pensare. E qui la cosa si fa ancora più interessante. Esponendo infatti un campione d'acqua a pensieri d'amore, di gratitudine, o ad una musica armoniosa, i suoi cristalli assumono forme meravigliose. Al contrario, i pensieri di odio e i rumori sgradevoli fanno sì che l'acqua cristallizzi in forme sgraziate. Ma il descrivere questo fenomeno a parole non può darvi l'idea, bisogna vedere con i propri occhi. E allora vi invito a guardare questo video; io sono rimasta a bocca aperta.


Non c'è molto da aggiungere...se non chiedersi come si fa a questo punto a dubitare dell'esistenza dell'energia e del potere che ha sulla nostra vita. Visto che l'uomo stesso, poi, è costituito per la maggior parte di acqua, la riflessione è d'obbligo: quanto bene e quanto male possiamo procurare a noi stessi e agli altri con i nostri pensieri e le nostre parole??

mercoledì 28 aprile 2010

Senza età



A volte succede. Il velo cade, l’illusione si spezza…

Mia madre parla con le sue amiche:”Ma davvero tra poco avremo sessant’anni? Io mi sento come quando ne avevo venti…”. Non è così per tutti, in fondo? Certo, abbiamo un’età biologica, un’età mentale, ed anche un’età emotiva, legate ai tre corpi dei quali siamo costituiti (corpo fisico, corpo emozionale e corpo mentale) e spesso queste età ce le sentiamo effettivamente addosso. Non facciamo più le scale di corsa, non la pensiamo più come un tempo e anche il nostro modo di vivere l’affettività si è modificato.
Ma in quei momenti in cui non ci identifichiamo con la mente che pensa,…in cui non siamo presi dalle faccende quotidiane od occupati a formulare giudizi…quando siamo beatamente seduti al sole o stesi nel letto un istante prima di addormentarci…ci ricordiamo forse di quanti anni abbiamo? No. Perché sotto tutta la zavorra che ci portiamo dietro in quanto esseri incarnati, l’Io, il “chi siamo”, rimane lo stesso, immutabile, e noi, nel percepirlo - in quell’istante - siamo l’eternità che guarda in faccia se stessa.
Sarebbe bello riuscire a prolungare questa sensazione (la sensazione di “non avere età”) e viverla costantemente, anziché accantonarla etichettandola come illusione dovuta magari a una forma di nostalgia per la giovinezza. Sarebbe bello perché allora saremmo svegli. E liberi. Smetteremmo di credere reale quello che non lo è, e di confondere la sostanza con quello che è solo un contenitore.
L’età è uno dei contenitori in cui ci siamo volontariamente rinchiusi, e da cui ci facciamo limitare, lasciando che sia lei a decidere ciò che dobbiamo o non dobbiamo fare, o provare. Ancora una volta non osiamo credere a quello che intuiamo in quell’istante di verità; preferiamo i luoghi comuni, gli schemi mentali, i pregiudizi sociali. Quello a cui ci ha abituati la nostra condizione di schiavi. O di “nani psicologici”, come dice qualcuno.

Ma a volte succede. Lo schermo del Truman Show si rompe, qualcuno abbatte le barriere e ci “scandalizza”. Un vecchietto si lancia da un aereo con il paracadute, un bambino si laurea in ingegneria, una ragazzina fugge con un uomo adulto... anime che riescono a confutare l'ovvio, o a trovarsi e a comunicare superando il “rivestimento anagrafico” che le limita …beh, trovo che siano eventi di grande bellezza, flash che aprono uno spiraglio sulla nostra natura divina.

Il velo cade, l’illusione si spezza… e l’eternità guarda in faccia se stessa.

martedì 13 aprile 2010

IO NON MI LAMENTO

E’ il titolo di uno dei libri che ho segnalato nella lista qui a fianco. Ed è anche la sfida che ho intrapreso dopo averlo letto. 21 giorni filati senza lamentele. Ho cominciato il 6 marzo e ad oggi non sono riuscita ad andare oltre i 4 giorni consecutivi.
La proposta parte dall’autore, un reverendo americano, Will Bowen, che ad un certo punto nota qualcosa che abbiamo tutti quanti sempre sotto gli occhi: non solo l’essere umano ha una spiccata tendenza a lamentarsi, ma sulla lamentela basiamo la gran parte delle nostre interazioni con gli altri. Ci lamentiamo del tempo, del governo, della salute, dei famigliari, dei colleghi di lavoro…quasi fosse diventato il modo più normale di relazionarsi.
Ora, il motivo per cui dovremmo desiderare di liberarci dalla lamentela è innanzitutto il fatto che lamentandoci emettiamo vibrazioni basse (energia negativa) e ci concentriamo su qualcosa che non ci piace, regalando quindi ancora più forza all’oggetto della nostra lamentela. Sul sito creato da Bowen “AComplaintFreeWorld” si legge a mo’ di slogan: Your complaints may seem fully justified, but realize that whenever you complain, you are placing your order for more of the same. Non si tratta di stabilire se le nostre lamentele siano o meno giustificate…ma di renderci conto che, comunque, nel momento in cui ci lamentiamo di qualcosa stiamo compilando un modulo di richiesta per avere altri articoli dello stesso genere. In poche parole, se mi lamento della mia cattiva salute non faccio che attirarmi altri problemi di salute. Se continuo a lamentarmi di quanto sia insopportabile quel collega, certamente il mio rapporto con lui peggiorerà ancora. Se, invece, comincio a sostituire la lamentela con un commento costruttivo, sforzandomi di sottolineare sempre gli aspetti positivi di una situazione o di una persona oppure andando alla ricerca fattiva di una soluzione al mio problema, non solo vedrò cambiare le cose in meglio più rapidamente di quanto mi aspetti, ma contribuirò a migliorare il clima generale intorno a me, in quanto anche le vibrazioni di tipo superiore si propagano e contagiano l’ambiente circostante.
In secondo luogo, per chiunque stia facendo un percorso spirituale basato sulla consapevolezza che la realtà esterna non esiste di per sé – oggettivamente – ma solo come prodotto, per quanto inconscio, della propria soggettività, la lamentela è qualcosa di insensato, che contrasta in modo inconciliabile con il principio secondo cui ognuno è Re e creatore di ciò che percepisce come realtà. Infatti com’è possibile lamentarsi di qualcosa che noi stessi abbiamo voluto? La lamentela è segno che ancora ci sentiamo vittime di un mondo esterno che produce eventi indesiderati e a cui non possiamo opporci. Liberarcene costituisce un grande passo in avanti verso la conquista di una più ampia consapevolezza.
Ma torniamo alla sfida. Si tratta di osservarsi durante la giornata (è richiesta quindi già una discreta capacità di presenza) e di fare un certo gesto ogni volta che ci si sorprende a lamentarsi. Quello che Bowen propone è di cambiare polso ad un braccialetto (di plastica viola, che è possibile acquistare insieme al libro o ordinare sul sito), ma ognuno può inventarsi un suo gesto personale da ripetere (per esempio tenere un sasso in tasca e spostarlo da una tasca all’altra). Qualunque sia il gesto, esso rende consapevoli di quante volte, e per quali motivi, ci si lamenta. Il traguardo dei 21 giorni è fissato facendo riferimento alla capacità della mente di “sostituire” una vecchia abitudine con una nuova, cosa che avverrebbe, appunto, dopo aver applicato per 21 giorni consecutivi una nuova modalità di comportamento. Attenzione: il pensiero non conta! L’importante è non esternare, non esprimere, la lamentela. Ciò che la bocca si abitua a dire la mente si abitua a pensare. Riuscendo nell’impresa di non lamentarsi per tre settimane la nostra mente dovrebbe a quel punto avere interiorizzato il cambiamento e quindi non produrre più lamentele.
A questo punto (beato chi ci arriva) non siamo più esseri che si lamentano, non ci attiriamo più cose che non vogliamo, non contribuiamo a diffondere pensieri e parole negative, ma anzi interrompiamo il circolo vizioso…perché il fatto stesso di non dare corda a qualcuno che si sta lamentando scoraggia il “lamentante” ed impedisce quindi l’emissione di altra energia negativa. Riuscite a “vedere” l’effetto domino che questa pratica può innescare su larga scala? E’ soprattutto questo enorme potenziale intrinseco che mi ha affascinato di questa idea che è stata “lanciata” nel mondo. Sei milioni di persone attualmente hanno al polso il braccialetto. L’1% dell’umanità che non si lamenta (o che ci prova) è una potenza d’amore dagli effetti incalcolabili.

venerdì 2 aprile 2010

E se la morte...



E se la morte fosse semplicemente…il risveglio da una lunga e bella dormita, durante la quale abbiamo sognato tutta quella che ci appare adesso come la nostra reale esistenza…Ci farebbe ancora paura?
Io sogno tutte le notti, di solito in maniera molto articolata e intensa, e al risveglio mi sento per qualche tempo ancora impregnata delle vicende e delle emozioni vissute insieme ai “personaggi” della mia parentesi notturna. A volte il distacco è pure un po’ doloroso, ma poi pian piano rientro in quella che è la mia normalità, in quella che percepisco come realtà.
La definizione della vita come sogno non è niente di nuovo: lo dicevano i Maya, l’ha detto Schopenauer…anche se con implicazioni diverse a livello filosofico. Ma io credo – senza scomodare i filosofi – che la mia ipotesi iniziale non sia molto lontana dalla verità. A me, perlomeno, l’idea piace e risuona. In quanto esseri spirituali, infatti, non ci sarebbe nulla di strano se passassimo di tanto in tanto da una dimensione all’altra, così come facciamo dal sonno alla veglia. Ripropongo la questione…se così fosse, ci farebbe ancora paura la morte? O sarebbe solo una porta di passaggio verso una dimensione che al momento non ricordiamo – in quanto siamo nel mezzo del nostro sogno e lo crediamo ovviamente reale – ma che in effetti già conosciamo benissimo, in quanto ci siamo tornati ogni volta che ci siamo svegliati?
Pensate quanta ansia verrebbe tolta dalla vita di ognuno se ci insegnassero che le cose stanno così. Perché cos’è che sta alla base di ogni nostra sofferenza, se non la paura della morte? O perlomeno…il credere che abbiamo un’unica vita – questa – e che ci giochiamo tutto qui, in questi 60-70 anni o forse meno. Allora la dobbiamo difendere con le unghie e coi denti, ci scontriamo con gli altri, ci vogliamo affermare, avere successo. E malattie, insoddisfazioni, fallimenti, rimpianti e via dicendo, assumono proporzioni insostenibili.
Al contrario, sapere che stiamo sperimentando una delle tante varianti, uno dei tanti sogni, che la nostra anima si è “inventata” per proseguire il suo cammino evolutivo…non rende tutto più entusiasmante?
Uso la parola sogno solo per creare la metafora…è evidente che in questa visione non ha senso parlare di sogno o realtà perché ad un certo punto non è più possibile stabilire quale sia l’uno e quale l’altra…Diventano insomma la stessa cosa, nell' Infinita Unità.
Mi piace pensare che quando morirò, cioè quando passerò da quella porta che apre sull’altra dimensione, mi sveglierò con un bello sbadiglio, mi stiracchierò…penserò con un po’ di nostalgia e groppo in gola al sogno che mi sono lasciata alle spalle, pieno di tutti i meravigliosi personaggi che ho avuto vicino e che ho amato… e che poi pian piano mi ritroverò a mio agio in quella che – dopo una bella lavata al viso – riconoscerò come la mia casa. E la sera sarò pronta per un nuovo sogno.

mercoledì 24 marzo 2010

NASCERE ALL'AMORE




In te vedo la luce, adesso, /
vedo il rosso e il giallo, /
sento il battito d’ali che ti sospinge in alto. /

Non ci sono più limiti per te, adesso; /
ti espanderai lungo mille strade,
portando girasoli, / e spighe, / e rose.

Nella tua terra / e oro e fuoco, / e acqua e miele e pane; /
e la tua mano stringerà la spada, /
e la tua fronte sempre verso il sole. /

Accoglierai la notte, / seduto, / sulla tua roccia, /
la guarderai negli occhi senza vacillare, /
e l’alba avrà tutti i tuoi colori. /

In te vedo la forza, adesso, /
la meraviglia che sboccia sul tuo prato, /
sento il passo, / sereno, / della vita.

Non ci sono più limiti per te, adesso, /
che sei l’aquila, l’orso, la gazzella, /
il fiume e la montagna, /
che sei…/ AMORE.

Abbondanza, fermezza, spirito guerriero, senso di appartenenza al Tutto... Mi colpisce e mi emoziona come in questa poesia, scritta parecchi anni fa' in un momento di ispirazione (da una che NON scrive poesie) e ritrovata oggi, siano così potentemente espressi questi concetti ancor PRIMA che mi diventassero famigliari attraverso il mio percorso successivo. Me la rileggo assaporandola e ringraziando, e la condivido, sperando che "parli" anche a voi.

lunedì 22 marzo 2010

Una bici senza catena


La politica, così come l’ho conosciuta in questa esistenza, non mi è mai piaciuta né mi ha mai appassionata, dunque non me ne intendo. E forse proprio per questo ne ho una visione più obiettiva di chi in qualche modo vi è coinvolto, come protagonista o come “tifoso”. Quello che si presenta al mio occhio distaccato è un teatrino dell’assurdo in cui gli attori continuano a pedalare come pazzi su una bicicletta senza catena. Che ovviamente gira a vuoto e non va da nessuna parte. La catena che manca è la “Visione”, il “Sogno”. Quello che avevano i grandi leader che realmente sono riusciti ad attuare trasformazioni significative, a compiere passi storici per l’evoluzione dell’umanità. Oggi i sogni di chi fa politica hanno la “s” minuscola e nel migliore dei casi – trascurando quindi, volutamente, chi se ne occupa esclusivamente per interesse personale - consistono nella risoluzione dei cosiddetti “problemi”: la disoccupazione, l’inquinamento, la crisi economica, il disagio giovanile, la criminalità, e via dicendo.
Ignari del principio energetico secondo cui concentrare il pensiero e l’attenzione su un determinato fenomeno non fa che rafforzarlo, i protagonisti della vita pubblica, con il loro continuo parlare degli aspetti che vorrebbero vedere risolti, in realtà li amplificano. Lo stesso facciamo noi cittadini, criticando e lamentandoci di ciò che non vorremmo, dai politici corrotti, alle ingiustizie, alla malasanità. Dalle nostre bocche, dalle nostre menti, emana energia creativa e creatrice, per cui dovremmo parlare solo di ciò che desideriamo ed ignorare invece ciò che vorremmo eliminare, in modo da non alimentarlo. Un intero popolo che parla di crisi economica, si crea una sempre più profonda crisi economica. Un intero popolo che parla di rifondare una nuova e migliore economia basata su principi più evoluti e dignitosi di quella vecchia, crea le basi per la sua realizzazione.
Ulteriore punto debole della attuale politica è l’atteggiamento: non si fa altro che gridare l’uno contro l’altro, autoincensandosi da un lato e scaricando colpe e demeriti sugli “avversari” dall’altro. Si sta sempre seduti dalla parte della ragione, scaricando continuamente il barile, parlando di cosa gli altri hanno o non hanno fatto, incolpando il governo precedente, preoccupandosi solo di acquistare consenso elettorale. Nessuno ha la dignità, l’intelligenza e la magnanimità (la grandezza d’animo) di mettersi eventualmente al servizio di chi ha prevalso piuttosto che far di tutto per screditarlo. Il risultato è l’instabilità poiché il gioco consiste nel far cadere l’altro, a prescindere; uno sgambetto continuo e senza senso.
La bicicletta senza catena prima o poi cade; il modello politico attuale è nella stessa situazione di quello economico…sull’orlo del collasso. Perché l’umanità è in continua progressione ed è evidente che noi ci troviamo in una fase di trasformazione… I vecchi modelli stanno girando a vuoto e questo è palese per chi ha il coraggio di guardarli distaccandosene quel tanto che basta. Rallegriamocene! E tiriamocene fuori senza rimpianti. Il nostro sguardo disidentificato e consapevole basterà a dar loro il colpo di grazia. Senza paura: “Se il chicco di grano caduto in terra muore, porta molto frutto” (Gv 12,24) . Le premesse per il mondo che verrà sono già state seminate.

domenica 14 marzo 2010

CAPTAIN OF MY SOUL





Sono il signore del mio destino, sono il capitano della mia anima.
Vorrei avere le parole per descrivere l’effetto che questa frase (pronunciata da Mandela nel film Invictus, e tratta da una poesia di W.E. Henley) ha avuto su di me. Da quando so di ESSERE un’ANIMA, sembra che messaggi di questo tipo vengano sparsi ovunque nella mia vita, perché io li raccolga e ne tragga conferme, come briciole sul sentiero che porta alla meta. Il fatto che siano entrati addirittura nei film da grande pubblico (L’uomo che fissava le capre ne è un altro esempio recente) mi fa capire che l’umanità è pronta davvero ad una trasformazione, a fare il passo successivo. Che un uomo rinchiuso in una cella per ventisette anni possa sentirsi “signore del proprio destino” non può che significare che quell’uomo SA che quello che sta vivendo è nient’altro che una sua creazione, il modo che lui stesso ha scelto di percorrere quel tratto della sua esistenza, e dunque non lo subisce ma lo rende proficuo, non ne incolpa gli altri ma se ne assume la responsabilità; che si definisca “capitano della propria anima” non può che voler dire che quell’uomo E’ la sua anima, si è identificato con essa, e in quanto anima, puro spirito, non viene toccato da quanto gli accade nella materia, e dunque resta INVICTUS, mai vinto. Che poi, una volta tornato (fisicamente) libero ed eletto presidente, non solo non si dedichi alla persecuzione dei suoi oppressori, ma anzi lavori per farne i propri amici e fratelli, realizzando così il sogno di una civiltà di pace, fa di quest’uomo un illuminato, ci dice quanto vicina questa anima sia al ricongiungimento con la divinità. Esempi come questo mi fanno tremare di bellezza e gratitudine.

INVICTUS

OUT of the night that covers me,
Black as the Pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.

William Ernest Henley

INVICTUS (traduzione)

Dal profondo della notte che mi avvolge
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio gli dei chiunque essi siano
per l'indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’orrore delle ombre
e ancora la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Sono il signore del mio destino.
Sono il capitano dell'anima mia.

sabato 13 marzo 2010

La legge dello specchio


"Specchio, specchio delle mie brame...chi è la più bella del reame?"-chiedeva la strega malvagia al suo magico amico, che sempre le rimandava la risposta da lei desiderata "la più bella sei tu, o mia regina...". Ma alla corte della regina cresceva giorno dopo giorno una giovinetta, che si faceva sempre più bella...Pensate che la regina, che tanto teneva alla propria bellezza da chiederne ogni giorno conferma, non se ne fosse accorta?...eccome! e quando il terrore di essere stata ormai superata in bellezza dalla ragazza diventa certezza, ecco che lo specchio cambia la sua risposta: "la più bella è Biancaneve!". Lo specchio cambia la risposta quando è cambiato ciò che la regina stessa pensa. Una legge universale celata in una favola, come spesso accade. Le più grandi verità messe sotto gli occhi di tutti e noi troppo assonnati per vederle. Tutto ciò che vediamo allo specchio (cioè di fronte a noi, negli altri, nelle situazioni della vita) e che ci dà fastidio, che ci irrita, che ci scandalizza, è semplicemente quello che già esiste dentro di noi e che abbiamo bisogno di guardare in faccia. Quello che non ci infastidisce, che ci lascia sereni, è ciò che abbiamo già visto e superato, che non ci crea conflitti interni, mentre tutto quello che al contrario ci provoca una reazione deve farci riflettere, tanto di più quanto più acceso è il moto di “ribellione” che ci scatena. Sappiamo che, in quanto anime, tendiamo ad un continuo perfezionamento (evoluzione) che ci porterà a fonderci nuovamente con l'Uno da cui proveniamo, dunque è normale che ci attiriamo ostacoli da dover valicare, persone e situazioni che ci aiutino, creando attrito, a "vedere" certi aspetti di noi. Attenzione: non è una favoletta, non è pura teoria...Chi accetta di mettersi in questa ottica cambia radicalmente il suo modo di vivere: intanto ammette che non c'è nessuna realtà oggettiva esterna a sé, poiché tutto è proiezione del soggetto; e poi che "nessuno gli sta facendo nulla", che quel collega, che quel parente, NON è antipatico o ostile, ma che semplicemente con un suo atteggiamento o modo di relazionarsi gli sta facendo un servizio prezioso (ovviamente senza saperlo): gli sta consentendo di lavorare su di sé, ossia di ricercare quale parte di sé viene rispecchiata in quel fastidio, e una volta riconosciutala, di accettarla, integrarla, amarla (a quel punto il fastidio che si provava dinanzi a una persona o situazione scompare come neve al sole). Più chiaramente: ci irritano i prepotenti? è perché anche noi, in qualche aspetto, lo siamo. Non sopportiamo chi si dà tante arie? evidentemente siamo vanitosi, anche se forse non nello stesso ambito di colui che stiamo criticando. Qualcuno ci fa un commento sgradevole? Sicuramente in un angolo nemmeno troppo remoto di noi il nostro inconscio custodisce quella credenza o quel dubbio e dunque siamo noi stessi ad auto-rivolgerci quella critica. Diversamente dalla legge di attrazione, che conquista facilmente seguaci entusiasti – come testimonia il successo planetario di “The Secret” – questa è una legge che di solito non sta al top dei gradimenti delle persone, perché accettarla e soprattutto applicarla nel concreto procura un certo dolore. Il dolore di prendere su di sé la piena responsabilità (che non significa “colpa”, si badi bene) di tutto ciò che ci accade e di non poterla più addossare agli altri. Altrimenti detto, di uscire dal comodo ruolo di vittima per diventare, come l’Invictus di W.E. Henley, “capitani della propria anima” . Le persone tendono a rifuggire la sofferenza, non sapendo che la nostra macchina biologica (il corpo) è una grandiosa fucina in cui avvengono costantemente processi di trasmutazione alchemica, anche a nostra insaputa e che sovente il dolore è il carburante che le consente di funzionare. Continuamente, infatti, le esperienze della vita, che entrano in noi sotto forma di emozioni, “bruciano”, modificando la struttura dell’anima e facendoci progredire. In qualche modo tutti siamo consapevoli di questo. Ma se di tale meccanismo diventiamo veri conoscitori, allora possiamo velocizzare il processo e dirigere le attività nella direzione voluta, facendo sì che il piombo dell’emozione negativa in ingresso non ristagni o non vada ad alimentare altre negatività quali rabbia o depressione, ma bensì che attraverso il fuoco che scaturisce dal rimanere volontariamente presenti sul nostro dolore, gradualmente si sciolga e diventi l’oro dell’emozione superiore che ci immerge nell’amore universale. Riesce difficile portare esempi concreti di questa meraviglia a chi vorrebbe tutto in soldoni, ma certamente sa bene di cosa sto parlando chi, per esempio, è riuscito nell’impresa del perdono. Un'opportunità grandiosa di crescita, per chi è davvero coraggioso e intenzionato. E una materia che manca clamorosamente a scuola...L’insegnamento di queste conoscenze, di cui le masse vengono volutamente tenute all’oscuro, cambierebbe il mondo nel giro di poche generazioni.

giovedì 11 marzo 2010

C'era una volta Dio...

...ed era un immenso Specchio. Non esisteva altro all'infuori di LUI nell'infinito nulla, anzi non esisteva neppure il nulla, tanto che non sapeva nemmeno che cosa "riflettere". Riuscite ad immaginare una quiete più immobile, un silenzio più totale di questo?
Ma un giorno Dio - e come dargli torto? - pensò che si stava decisamente annoiando, che forse gli andava di sgranchirsi un po'...e dunque questo infinito specchio onnipotente fece l'unica cosa che poteva fare...si ruppe. Esplose in miliardi e miliardi di pezzi, ognuno diverso dall'altro. Ed eccoci qua. Noi, gli alberi, i pianeti, il mare, le stelle...
La domanda è: un frammento di specchio, per quanto piccolo, è ancora uno specchio? Certamente sì. Certamente partecipa della stessa natura dell'intero. Questo dovrebbe dirci qualcosa su di noi.
E lo scopo qual è? ipotizzo che ciascun frammento abbia il compito di ricordarsi cosa era in origine e di ritrovare il suo posto per ricomporre lo specchio; di orientarsi insomma nel caos apparente della molteplicità e tornare alla verità prima, l'Uno da cui è scaturito e a cui appartiene.
Non si tratta di filosofeggiare...:adottare questa ottica e partecipare attivamente al gioco significa aver afferrato il senso dell'esistenza. Ed è evidente che questo produce effetti concreti e radicali nella vita di ognuno.

mercoledì 10 marzo 2010

BENTROVATI!

Eccoci qua, nel 2010. O meglio, in quel puntino sull’onda infinita del tempo che abbiamo deciso di chiamare così. Abbiamo appena finito di farci gli auguri perché questo nuovo “ciclo” di quattro stagioni, 52 settimane, 365 giorni, ecc ecc, sia “sereno e prospero”, anche se in realtà sappiamo bene – o dovremmo saperlo - che sarà esattamente come quello precedente…a meno che non siamo noi a diventare sereni e prosperi. Perché tutto ciò che accade fuori di noi è solo il riflesso di ciò che accade dentro di noi. Principio ancora poco conosciuto…
Comunque…propositi per l’anno nuovo? Io uno ce l’ho. Quest’anno con voi voglio essere …fastidiosa, come una zanzara, come un dito nell’orecchio, come l’inquilina del piano di sopra che cammina coi tacchi e non vi lascia dormire. Voglio rompervi le scatole e lasciarvi perplessi. Soffiarvi polvere negli occhi, crearvi confusione. Mettere sotto il sopra e sopra il sotto. Darvi pizzicotti e spintarelle. Insinuarvi il dubbio su ciò che credete ovvio. Suonarvi il campanello nel mezzo della notte.
Amarvi più che mai.
Buon anno.

A proposito del Crocifisso...

Chi lo vuol su e chi lo vuol giù…J
Ginnastica a parte, è di quelle faccende che scaldano gli animi, perché vanno a toccare il nostro senso di appartenenza - ad un certo popolo, ad una certa ideologia…- in altre parole il nostro senso di identità. Religiosi contro laici, destra contro sinistra, tradizionalisti contro progressisti, italiani contro stranieri. Ma anche milanisti contro juventini, pacifisti contro guerrafondai, maschi contro femmine, vegetariani contro carnivori… L’elenco degli opposti può andare avanti all’infinito, dato che per la nostra natura di esseri incarnati nella materia siamo portati a ragionare in termini dualistici. Dalla nostra uscita dall’Eden, la nostra mente si è abituata a dividere tutto in due: alto/basso, freddo/caldo, giusto/sbagliato, buono/cattivo, morale/immorale. E sull’appartenenza ad uno schieramento piuttosto che ad un altro basiamo la nostra percezione di noi stessi. Si arriva al punto di definirsi per contrapposizione: “io sono anticonformista, anticlericale, antitecnologico”. E’ comprensibile, allora, che nel momento in cui qualcuno va a toccare un simbolo del gruppo cui ho “deciso” di appartenere, io mi senta minacciato nel mio intimo. E che venga fuori l’ orgoglio, che altro non è se non la paura di essere sopraffatti, annullati dall’altro.
E qui faccio la prima considerazione… Quanto sarebbe ora per gli uomini di capire che la visione bianco/nero può e deve essere superata in quanto causa di tutti i conflitti? E intendo quelli tra popoli, quelli tra partiti, quelli tra religioni…ma anche quelli tra le singole persone, e persino quelli interni ad ogni individuo!...Fino a che divideremo, fino a che separeremo, fino a che – in sostanza – GIUDICHEREMO…non possiamo stupirci che ci sia guerra, che ci sia disarmonia, che ci sia odio, e persino malattia. Quando la nostra identità sarà costruita sulla solidità dell’essere, che è unicità e sa di contenere in sé tutti gli opposti, allora non avremo bisogno di difenderci, di urlare, di scandalizzarci. Non avremo bisogno né di togliere un simbolo, né di imporlo.
Di conseguenza mi chiedo: quanto devono essere fragili, inconsistenti, le convinzioni di chi afferma che un simbolo appeso danneggia la propria libertà di educare i figli secondo – appunto – le proprie convinzioni?!
Fermo restando quanto sopra, e quindi rifuggendo da ogni tipo di polemica, fosse per me, io il Crocifisso lo lascerei dov’è. Non mi definisco cattolica e nemmeno anti-cattolica. Ma il secondo punto è proprio questo: Cristo NON è un simbolo della chiesa cattolica, è un simbolo dell’Umanità e a quella - almeno a quella - apparteniamo tutti…o no?
Gesù Cristo rappresenta la più alta realizzazione dell’uomo, una realizzazione così totale da andare a coincidere con il divino. E per quanto consapevole che non sia un concetto di moda…mi sbilancio ad affermare che solo questo può essere l’obiettivo ultimo di ogni esistenza umana. Lo è anche indipendentemente da noi, dato che l’anima – il frammento di Dio che ognuno di noi è – si evolve spontaneamente in questa direzione.
Come può un simbolo di tutti offendere qualcuno?